É  tempo di classifiche, un rito obbligato alla fine dell’anno ma anche un gioco di cui abbiamo collettivamente deciso di cambiare un po’ le regole. Invece di guardare a quanto è appena passato – o rimasto negli occhi e nel cuore – proviamo a immaginare una classifica dei desideri: cosa vorremmo vedere, cosa aspettiamo, cosa ci piacerebbe accadesse nell’anno che sta per cominciare di fronte alla crisi di spettatori cinematografici qui in Italia, alle polemiche – Netflix sì, Netflix no – che hanno caratterizzato l’anno passato.

 

 

Il 2018 cinquant’anni dal 1968 sarà l’anno di Jean Luc Godard, di cui si annuncia un nuovo film, Le livre des images che dovrebbe essere una riflessione sul mondo arabo. È già un buon punto di partenza perché questo «anniversario» non sia semplicemente una celebrazione (già iniziata purtroppo…). E non è solo perché sono godardiana – e allo sberleffo stupido del finto Godard preferisco quello vero – ma è che lui, come pochi, è un cineasta, un artista capace sempre di mettere a soqquadro l’ordine, anche quello che si presenta sotto l’aspetto della «ricerca». Pensare a Godard è pensare a un cinema non allineato, non conforme, non attento a soddisfare la «tendenza» di un gusto contemporaneo. Più sfrontato, irriverente, indocile che sia cinema «commerciale» o «indipendente», che sia script o sperimentazione, che sia fiaba o realtà capace però di farsi immaginario con provocazione, di assumere dei rischi, di avere delle fragilità vitali e non di limitarsi a assecondare i buoni sentimenti mostrando ciò che vogliamo vedere.

 

 

Livre d’Images dunque – sarà a Cannes 2018? – ma anche il nuovo film di Leos Carax di nuovo sul set con Annette – che dovrebbe essere un musical – dopo quello che era una forma di addio al cinema (un certo modo di fare-cinema) che era Holy Motors. E poi Apichatpong Weerasethakul, un autore capace sempre di stupire l’idea del cinema politico, Claire Simon che esplora l’adolescenza in Premières solitudes, La strada dei Samouni di Stefano Savona (con le animazioni di Simone Massi) che ha assorbito a lungo il regista italiano che vive a Parigi, The Waldheimm Waltz di Ruth Beckermann, perché il cinema politico, appunto, non è solo «il soggetto» …

 

 

 

In Italia sono in tanti sul set, da Alice Rohrwacher (Lazzaro felice) a Alberto Fasulo (Il Menocchio), Andrea Caccia (Tutto l’oro che c’è) per citarne alcuni. Non è un elenco sono (appunto) desideri di un cinema che vogliamo ci sia