Il reato di clandestinità viene abrogato, ma non del tutto e non definitivamente. Alla fine, dopo tante promesse e altrettante minacce, la soluzione capace come al solito di mettere d’accordo tutti è saltata fuori alle undici di lunedì sera, dopo che per tutto il giorno il Pd aveva promesso che non avrebbe mai ceduto alle pressioni di Alfano per mantenere il reato simbolo della Bossi-Fini. L’accordo messo alla porta fino a poche ore prima, è quindi rientrato dalla finestra consentendo così alla maggioranza di non inciampare, almeno per ora, sulla revisione di una delle peggiori leggi sull’immigrazione. La soluzione – resa possibile grazie a un emendamento del governo al ddl sulle pene alternative al carcere in discussione al Senato – prevede che il reato di clandestinità venga abrogato e torni a essere un illecito amministrativo punito con un’ammenda e l’espulsione. Sanzioni valide però solo per la prima volta in cui un immigrato irregolare viene fermato. Torna infatti ad essere considerato un reato penale – anche se non punibile con il carcere – nei casi di recidiva, vale a dire se l’immigrato non lascia il Paese oppure non rispetta gli altri provvedimenti ammnistrativi emessi nei suoi confronti come, ad esempio, l’obbligo di presentarsi in questura.

L’emendamento è stato approvato con 182 voti a favore (Pd, M5S, Ncd e Sc), 16 contrari e 7 astenuti. «Nessun passo indietro» ha assicurato in aula il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, scegliendo non a caso parole capaci di accontentare tutte le anime della maggioranza. «Chi per la prima volta entra clandestinamente nel nostro paese non verrà sottoposto a procedimento penale ma verrà espulso. Ma se rientrasse, a quel punto commetterebbe un reato», ha proseguito Ferri. Di fatto si è tornati alla situazione prevista originariamente dalla Bossi-Fini prima che nel 2009, con il pacchetto sicurezza dell’allora ministro degli Interni Maroni, l’immigrazione clandestina diventasse un reato penale, e dopo l’intervento della Corte di giustizia europea, che nel 2010 vietò il carcere per chi veniva trovato senza documenti.

Per dirla con le parole del senatore democratico Nicola Latorre quello di ieri è «il miglior compromesso possibile». Migliore per tutti. Per il Pd e il Ncd che possono presentarsi ai propri elettori vantando di aver mantenuto la promessa fatta (il primo di abrogare il reato di clandestinità, il secondo di mantenerlo). Ma buono anche per la Lega, che ha ricominciato ad agitare lo spauracchio di improbabili invasioni. Peccato che così si sia persa un’occasione per cominciare a mandare in soffitta quella cultura – basata solo su paura e criminalizzazione degli stranieri – che ha caratterizzato le politiche sull’immigrazione degli ultimi venti anni. Lo ricordava ieri il senatore Luigi Manconi, presidente della commisione diritti umani del Senato e uno dei 16 voti contrari all’emendamento: «Una scelta – ha spiegato – che muove dalla necessità di segnare una forte discontinuità con le politiche del centrodestra, che hanno fatto dell’immigrazione una pura questione penale e di limitazione della libertà»