«Privatizzare l’azienda pubblica genovese dei trasporti è un’idea astratta oltre che sbagliata. Si ha la sensazione che sia piuttosto dettata dall’approccio ideologico del “privato è bello”: ma dove lo si trova un privato disposto a comprare un’azienda sull’orlo del baratro?». Sergio Cofferati parla con la consapevolezza di chi ha «fatto parte di entrambi gli schieramenti di contendenti», come ex sindaco di Bologna, esponente di punta del partito dei sindaci, e come attuale cittadino di Genova. E da europarlamentare del Pd – nel giorno in cui il ministro Saccomanni difende a Bruxelles la legge di stabilità che tanto penalizza i comuni – registra con un po’ di amarezza la scarsa fiducia di cui godono le istituzioni italiane: «D’altra parte se la maggioranza deposita in Parlamento più di 3000 emendamenti al testo presentato dallo stesso governo che sostiene, è evidente che diventiamo poco credibili e più deboli, in Europa».

A Genova c’è ormai gelo siderale tra il sindaco di sinistra Marco Doria e i tranvieri dell’Amt. Chi ha ragione?

Premesso che l’azienda è ad un passo dal baratro, portata allo stremo da errori compiuti soprattutto nelle passate amministrazioni comunali e dagli stessi vertici aziendali, è indispensabile predisporre il più in fretta possibile un piano di risanamento facendo uno sforzo di trasparenza. Voglio dire che deve diventare evidente a tutti la drammaticità della situazione, i conti e anche le responsabilità. Può sembrare un po’ fuorviante ma non è immaginabile che un’azienda possa arrivare a questo stato di salute senza che nessuno ne porti la responsabilità.

Lei cosa farebbe, da sindaco?

Credo che un’azienda di servizio pubblico e in particolare dei trasporti debba rimanere pubblica. Tra l’altro l’Amt non troverà mai un imprenditore privato disposto a gestire attività non remunerative e dissestate. Genova ha strade impervie e periferie dove l’utenza è poca e debole, formata in prevalenza da anziani. Questo servizio di cittadinanza compete per definizione al pubblico e nessuno privato lo assicurerebbe. A Bologna avevamo un’azienda pubblica con gravi problemi che è stata risanata ed è rimasta pubblica. Gli amministratori devono trovare risorse per un piano straordinario di salvataggio, ponendosi due obiettivi successivi: l’integrazione dell’azienda di Genova con altre aziende di trasporto locale della Regione, e la sinergia tra il trasporto locale su gomma e quello su ferro che oggi fa capo alle Ferrovie dello Stato.

Ci vorrebbe sinergia anche tra l’amministrazione comunale e i lavoratori…

Ci vuole un confronto tra le parti. E qualche idea su dove reperire risorse: bisogna mobilitare gli istituti finanziari della regione e mettere a disposizione risorse da reperire nelle proprietà immobiliari degli enti locali. Si tratta di fare sacrifici per tenere pubblica l’azienda. Nel frattempo il sindacato deve però utilizzare modalità di lotta diverse da quelle fin qui usate, perché il blocco dei trasporti finisce con penalizzare l’utenza più debole. Bisogna cambiare registro.

Eppure i genovesi appoggiano la loro lotta.

Sì perché l’antica cultura operaia di Genova conosce il valore del lavoro e la pena della sua perdita. Intorno alla lotta dei lavoratori c’è stata molta solidarietà ma proprio per mantenerla è necessario cambiare passo. Per evitare di penalizzare l’utenza più debole e un costo economico rilevantissimo pagato dalle stesse famiglie dei lavoratori.

La vertenza dell’Amt sta diventando il simbolo dell’Italia che si ribella alla privatizzazione.

Ed è sbagliato: bisogna evitare strumentalizzazioni politiche, come quella di Grillo che viene qui oggi cercando visibilmente di impossessarsi di questa lotta. Questa è la vertenza dei trasporti genovesi, ha valore in quanto tale. La difesa del confine di questa lotta è fondamentale per non indebolirla. La dimensione simbolica copre le debolezze altrui, mentre invece gli obiettivi si raggiungono partendo dalle condizioni specifiche e reali di ciascuna città. Il problema è che l’azienda è a rischio, non tanto la privatizzazione.

Ma i guai sono cominciati nel 2005, quando i francesi acquisirono il 41% dell’Amt.

Un conto è la partecipazione di un privato e un conto è la privatizzazione. Ma io non lo farei in questo caso. Perché il capitale misto funziona in condizioni di normalità, diventa però un problema a fronte di un qualsiasi processo di crisi. È ovvio che il privato cerca il risanamento attraverso la rinuncia alle attività meno remunerative.

Anche il governo pensa che privato è più bello di pubblico…

Terrei le cose separate, anche se le cessioni di quote come annunciate dal governo rischiano di essere un’operazione di ricerca di risorse che può produrre un ritorno largamente inferiore al valore delle quote che si cedono, proprio perché fatta in un momento di necessità. Altra cosa è gestire un comune, con le risorse così drasticamente ridotte. Il mestiere di sindaco oggi è in assoluto il più difficile: a loro si rivolgono i cittadini nei momenti di crisi e sono loro i primi a dover stringere la cinghia. Doria, come Pisapia a Milano e Marino a Roma portano addosso il peso del contrasto alla povertà in un paese che non ha politiche specifiche. Ai sindaci va tutta la mia solidarietà.