Il rischio è che toccato il fondo si cominci a scavare. Napoli ha vissuto un’altra giornata di follia, di quelle che arrivano alle cronache nazionali com’era stato per lo stop degli autobus senza benzina, l’incendio di Città della scienza e il crollo del palazzo alla Riviera; l’ordinaria sventura delle strade bucate, degli scioperi dei trasporti e dei vigili, delle famiglie senza reddito e degli scolari senza mensa non fa più notizia. In piazza, al termine di una manifestazione molto partecipata, si è assistito al ritorno di fiamma del blocco storico del conservatorismo cittadino – affaristi, destra e malavita -, nulla di nuovo sotto il sole napoletano ma è preoccupante la dimostrazione di forza.

I volti degli agitatori politici sono sempre gli stessi, quelli dei camorristi sono sempre coperti, mai come adesso, però, la debolezza dell’amministrazione gli lascia spazio. Il comune si tiene in piedi sulla promessa dei prestiti straordinari dello stato. Presiti erogati a condizioni capestro (per i cittadini) eppure decisivi per evitare il dissesto e ballare ancora, sulla bocca del vulcano.

Una promessa è una promessa e 58 milioni sono un pannicello caldo a confronto di 850 milioni di disavanzo e 2,5 miliardi di debito. E però sono decisivi per pagare i fornitori e continuare a tenere aperto il portone di palazzo San Giacomo, ma complice il vuoto di governo sono in ritardo. Arriveranno forse a fine maggio, sempre che il piano di riequilibro fatto di tasse e tagli che il comune è stato costretto a presentare passerà il vaglio della commissione ministeriale. Altrimenti sarà dissesto conclamato e tutti a casa. A fronte di queste drammatiche condizioni oggettive, la politica cittadina appare invece come paralizzata. La piazza è effervescente e per niente limpida, ma i partiti si limitano a guardarsi di lontano. Il sindaco, in grande difficoltà, perduta la scommessa nazionale con la lista Ingroia, ha cominciato un percorso di autocritica e ha chiesto sostegno alle opposizioni di sinistra, Pd e Sel. Che di certo non vogliono accelerare la crisi, del resto assai improbabile in regime di elezione diretta, per paura di consegnare la città alla destra. E però non vogliono saltare a bordo di una barca che pare affondare, dal loro punto di vista condividere le responsabilità di un fallimento che li ha visti all’opposizione non è un buon affare.

Il tracollo di Napoli però è l’anticipo di un fallimento destinato a diventare generale, indebitate e senza più trasferimenti dello stato le amministrazioni comunali si stanno trasformando ovunque nel peggior incubo dei loro abitanti. De Magistris ha qualche responsabilità in più in vicende importanti come la scelta della Coppa America, la ricapitalizzazione di Bagnoli futura, i rapporti con l’immobiliarista Romeo e con il calcio Napoli, come del resto comincia ad ammettere lui stesso. Errori ai quali adesso cerca di porre rimedio e che di fronte al montare della canaglia finiscono in secondo piano. Ieri il capogruppo di Sel Gennaro Migliore, all’opposizione in città, è andato a portare solidarietà al sindaco, o meglio «solidarietà alla città». Mentre il senatore dello stesso partito Peppe De Cristofaro è intervenuto in aula al senato per chiedere che il parlamento faccia di Napoli e del mezzogiorno «una grande questione nazionale». Il Pd regionale e napoletano invece ha condannato le violenze, ma insiste sul referendum per cancellare la ztl, definendo l’iniziativa utile «ad avviare un confronto». «Il sindaco ascolti i cittadini e i commercianti», hanno detto Enzo Amendola e Gino Cimmino.

Ma l’unica, vaga, possibilità di una ripresa di dialogo tra il sindaco e le opposizioni di sinistra resta legata all’eventuale azzeramento della giunta, una mossa che De Magistris continua a rinviare anche perché aprirebbe le porte a una resa dei conti nella sua maggioranza. Che al momento somiglia a un fortino assediato. Perino la lista personale del sindaco si è svuotata: degli 8 consiglieri comunali solo uno è rimasto con «Napoli e Tua». Alle politiche l’intero arco della maggioranza di De Magistris (Idv, arancioni, Prc e Pdci) era riassunto nella lista Ingroia che ha raccolto in città meno del 4%, 16mila voti. Il che significa che in 20 mesi il sindaco ha lasciato per strada i 67mila voti che i partiti che lo sostenevano avevano raccolto al primo turno delle comunali e le 128mila preferenze personali, persino raddoppiate al ballottaggio. Un tracollo mai visto. A vantaggio del Movimento 5 stelle, che adesso ha il consenso di un quarto della città in una situazione che ricorda molto il parlamento nazionale: Grillo, Pd e Pdl sono tutti e tre al 25%.

Il Pd ha mancato quella vittoria che considerava la premessa per un ritorno a palazzo San Giacomo, ed è in grande sofferenza in città. I dati raccolti dal consigliere regionale democratico Michele Caiazzo raccontano come il partito di Bersani si sia sostanzialmente asserragliato in 6 quartieri cittadini, su 29. Da qui l’attendismo, di fronte a una destra che rialza la testa. Ma anche l’incapacità di rinnovarsi. «Il rischio è che dietro il fallimento di De Magistris tornino a farsi avanti vecchi poteri che hanno pesanti responsabilità per il dissesto della città», dice Carlo Iannello, consigliere comunale di Ricostruzione democratica. E si riferisce al centrosinistra.