Come trovare l’equilibrio tra le esigenze umane contemporanee e la capacità del pianeta di sostenerle nel tempo? Questa è la domanda fondamentale della sostenibilità a tutte le scale, e ridare forza al suo significato a valle di un intero decennio, rifare il punto sulla sua vera valenza oggi, è di particolare importanza per una disciplina implicata nella trasformazione materiale del mondo quanto ancora può essere l’architettura.
È infatti anche la domanda su cui si fonda Change. Architecture. Cities. Life, il festival di architettura nato dall’assegnazione del bando «Festival dell’Architettura». La pandemia ha dato un’ulteriore spinta a questa domanda di partenza, l’ha resa definitivamente prioritaria: non possiamo tornare a vivere nelle stesse città in cui vivevamo — spesso piuttosto male — in tempi privi delle odierne preoccupazioni sanitarie e delle questioni sociali che queste non hanno fatto che acuire. Ha anche dato una spinta a Change, che pur rimandando al periodo tra 24 settembre e 31 ottobre prossimi i suoi appuntamenti in presenza, ha scelto di tenere viva la discussione attraverso un programma di talk che stanno facendo sbarcare i temi della sostenibilità urbana sui suoi canali social.

IL LEGAME QUASI ISTINTIVO, la libera associazione tra sostenibilità e tema del «verde» come opposto alla città, o suo guaritore, è ciò che il talk Greening – Il bosco orizzontale – Perché la natura è un nostro alleato anche in città?, in onda sui canali di «Change» dal 24 luglio, punta a decostruire. Elena Pelosi, responsabile Formazione del Maxxi, dialogando con Annalisa Metta, architetta, paesaggista, docente presso l’Università Roma Tre, e Clara Conti, di Saib, azienda di esperienza trentennale nell’impiego del legno riciclato, porta alla nostra attenzione la rilevanza di visioni alternative a quelle ormai consolidate: l’efficacia assai maggiore di un bosco quando questo è «orizzontale», o le pratiche di qualità, quando invece le narrazioni ancora si costruiscono sulla quantità.
È pur vero che, ad esempio, tra i valori di Trento, la città con più verde urbano per abitante (401,5 mq/abitante, nei dati raccolti dal Dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite) e quelli dell’Aquila coi suoi 5,9 mq/ab., Roma e i suoi 31,5 metri quadri non si colloca in una posizione altissima. Ma le diffuse retoriche quantitative del «pianteremo tot-mila nuovi alberi» come medicina sociale — e soprattutto di immagine — poco possono, se ancora una volta non si inscrivono in un cambiamento sistemico, qualitativo, che si fondi sulla valorizzazione e la manutenzione, e soprattutto sul superamento di quel dualismo oppositivo tra verde e città, come sottolinea Metta, che ci portiamo dietro fin dalla rivoluzione industriale. Persino la celebrazione dell’incolto come pur incidentale assenza dell’uomo, come la fa Gilles Clément, in qualche modo va a inserirsi in questo solco interpretativo; un’azione di greening urbano sostenibile va invece a basarsi su logiche di alleanza tra gli attori viventi in gioco, gli stessi progetti detti di rinaturalizzazione, si possono basare su questo principio, e anzi già lo fanno.

COME NEI CASI RICHIAMATI di progetti recenti, quale il Nordbahnhof Park a Berlino, l’area aeroportuale di Francoforte o quella del fiume Aire a Ginevra, un greening efficace è quello dove la natura non è solo più messa in scena ma processo, che integra i suoi tempi e modi vitali con le pratiche dell’abitare e del lavorare urbano, anche quando questi tempi e modi non siano necessariamente decorativi. Si tratta di un cambiamento di visione sistemico che va a investire tutti i livelli del vivere cittadino nel momento in cui se ne percepiscono le profonde interconnessioni. In questo stesso circuito si inseriscono infatti anche i processi produttivi: anche i mobili che mettiamo in casa sono una voce del verde urbano, e ce ne stiamo, pur gradualmente, rendendo conto.
In Italia si sta infatti delineando un’eccellenza anche in quella che Clara Conti di Saib definisce economia rigenerativa, il più alto livello di ottimizzazione del ciclo d’impiego dei materiali da raccolta differenziata: a partire da un «bosco orizzontale», il materiale d’arredo ed edilizia dismesso e conferito nei rifiuti (Saib da sola riceve 150 camion di materiale trasformabile al giorno) si è oggi in grado di recuperare legno riutilizzabile nella produzione di nuovi mobili, ma soprattutto di separare altri materiali che possono essere reimmessi nelle rispettive filiere di trasformazione. Il «verde» ha qui ancora una volta la forma di un processo di creazione di valore, che passa per i comportamenti, scelte individuali e una molteplicità di materiali che, come si era intuito, verdi non sono.
L’invito che arriva da Change è quello di guardare con occhi nuovi il greening urbano: un sistema fatto di pratiche, ricerca, tecnologia, nelle quali il panorama italiano ed europeo sta progredendo; e proprio in virtù di questa complessità, un sistema nella cui poetica non è il solo verde letterale, il color foglia-a-primavera, a dominare.

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SCHEDA: Chi lo sostiene

Il festival «Change» è un progetto promosso dal Mibact – Direzione Generale Creatività Contemporanea e ideato da Open City Roma, con Ordine Architetti Roma e Museo Maxxi di Roma insieme a una fitta rete di progettisti e attori economici e culturali