Nella narrazione futuristica e iper tecnologica cinese, le smart city costituiscono una sorta di riassunto nel quale finiscono i tanti aspetti della nuova postura cinese: città di due milioni e mezzo di abitanti circa, completamente sostenibili, con il traffico regolato da algoritmi, con auto a guida autonoma a sfrecciare silenziose su strade pulite e cittadini controllati 24 ore su 24.

LA CINA STA SVILUPPANDO 500 progetti di smart city, seguendo le direttive del Partito e del presidente Xi Jinping in persona che si è più volte espresso al riguardo, chiedendo di sviluppare la nascita di «città intelligenti e sicure». Come spesso accade per questo processo tecnologico cinese, le componenti, l’hardware e il software, costituiscono anche uno dei comparti che la Cina esporta. Secondo uno studio del 2020 di Rwr ADvisory, la Cina avrebbe già sottoscritto oltre 100 accordi per esportare «pacchetti» per città «intelligenti» e «sicure» (oltre 70 all’interno del progetto della Nuova via delle Seta).

LE APPARECCHIATURE «intelligenti» puntano ad automatizzare le funzioni «cittadine»: traffico, sicurezza informatica, controllo qualità dell’aria ecc. Le apparecchiature «sicure» sono principalmente finalizzate a sorvegliare e monitorare la popolazione 24 ore su 24. Esportare «pacchetti» significa anche tentare di consolidare degli standard. Come ha scritto il Financial Times, «i sistemi di riconoscimento facciale, l’analisi dei big data, le telecomunicazioni 5G e le telecamere AI che contribuiscono alla creazione di città intelligenti sono tutte tecnologie per le quali ci sono degli standard in palio. Pertanto, le città intelligenti, che automatizzano più funzioni municipali, rappresentano un grande obiettivo» per la volontà cinese di imporre standard. A questo proposito la Cina starebbe definendo gli standard dal basso verso l’alto «attraverso l’esportazione diffusa e l’adozione estera della sua tecnologia», secondo Jonathan Hillman, analista presso CSIS, un think tank con sede a Washington. «Un paese come la Serbia potrebbe non sedersi e decidere di voler adottare gli standard cinesi, ma dopo un numero sufficiente di acquisti e accordi, potrebbe finire per utilizzarli».

IL PROBLEMA per la Cina, però, si è imposto improvvisamente a livello interno: uno dei progetti più importanti di smart city sta arrancando, da anni. Si tratta del progetto di Xiong’an, 130 chilometri da Pechino, la «città perfetta» voluta espressamente da Xi Jinping per mostrare al mondo quale sia l’idea di «smart city». In questi giorni i media cinesi stanno celebrando in ogni modo i 4 anni dalla partenza del progetto, salutando con enfasi ogni cantiere aperto. Qualche settimana fa i media statali hanno salutato l’apertura di ben 120 cantieri, ma di recente sembrano essere sopraggiunti alcuni problemi. Innanzitutto è bene ricordare che in questi quattro anni i lavori non sono avanzati granché tanto che Xi stesso aveva richiamato all’ordine un po’ tutti; il nuovo piano quinquennale ha ridato linfa al progetto che però poggia su basi piuttosto complicate, essendo in una delle zone più inquinate del paese, intanto.

Inoltre, come registrato in questi giorni dai media internazionali, alcuni rumors hanno evidenziato altri problemi: non tutte le aziende sembrano essere disposte a spostarsi nella «perla cinese», alcune si sono indebitate oltremodo, mentre gli abitanti cominciano ad abbandonare la zona a causa dell’impennata degli affitti. Xiong’an, dunque, con una popolazione di 1,3 milioni di abitanti, e con una delle più grandi stazioni ferroviarie del mondo per superficie, che ha iniziato ad operare a dicembre, in realtà è, per il Financial Times, «un ristagno economico, fiancheggiato da strade sterrate, edifici squallidi e cantieri sospesi».