Intervista con l’architetto Stefano D’Amico, segretario regionale del ministero per i Beni culturali dell’Abruzzo

A dieci anni dal sisma, L’Aquila è ancora il cantiere più grande d’Europa in cui una parte importante degli interventi avvengono su edifici vincolati e di pregio artistico. A che punto si trova la ricostruzione in questo settore?
La ricostruzione sui beni pubblici all’interno del cratere del sisma avviene attraverso lo stanziamento di risorse da parte dello Stato sulla base di una programmazione di interventi coordinati tra il nostro ufficio, i comuni interessati e i proprietari privati ove presenti. Dal 2012 a 2017 la cifra dedicata è stata di 225 milioni di euro di impegno finanziario per gli interventi in programma. Importanti sono state le donazioni dall’estero, la Francia per le anime sante, ma anche la Russia, il Kazakistan e la Germania per circa 5 milioni di euro e altri 11 milioni da donazioni esterne di enti, fondazioni e privati. Parliamo di 248 interventi finanziati di cui 113 conclusi, quindi con il recupero di quasi la metà del patrimonio colpito dal sisma.

Durante i lavori dei monumenti e palazzi del centro storico sono emersi importanti ritrovamenti che narrano del passato della città. Qual è stato l’approccio degli interventi in tal merito?
Durante i restauri sono tornate alla luce le caratteristiche rinascimentali della città precedenti il terremoto del 1703, ma straordinariamente anche dell’evento del 1461, quindi risalenti al medioevo e alla fondazione della città. Si è quindi valutato positivamente di lasciare una traccia di questa importante sedimentazione storica, in cui resta evidente come L’Aquila sia una città che ha sempre avuto la capacità di ricostruirsi su se stessa e certamente di migliorarsi.

Sono stati riconsegnati alla cittadinanza edifici importanti e simbolo della città; la basilica di Collemaggio, le 99 cannelle, San Bernardino e parte del museo storico. Come percepisce la vita civile questo graduale ritorno della sua stessa storia?
Si avverte dalla cittadinanza molto interesse per ogni tipo di riapertura, consapevoli che il bene riproposto ad un livello architettonico superiore di quanto fosse in precedenza. Molto importanti sono le riaperture dei poli culturali e di ritrovo della città, come il teatro comunale e quello nella chiesa di San Filippo, in cui abbiamo sperimentato un palco avvenieristico.

Nel patrimonio recuperato c’è palazzo Ardinghelli, in cui è prevista l’istituzione di una sede del Maxxi di Roma. È certamente una delle grandi novità tra i nuovi spazi culturali.
Questo palazzo sarà riconsegnato a giugno e credo sia una delle sorprese della città, sia per l’apertura del Maxxi che per la disponibilità di un nuovo polo artistico per la città. Non era fruibile già prima del 2009 e adesso non mancherà di stupire ogni aquilano per i percorsi di visita tra i cortili e gli interni che sono stati realizzati.

Secondo lei, qual è la spinta necessaria che manca ancora alla città per credere nel suo patrimonio, riappropriarsene, e farne un importante elemento per la sua rinascita?
Io vedo una notevole attenzione da parte della cittadinanza, un’attesa di evoluzione della ricostruzione. Noi, come ministero, cerchiamo di fare ogni tipo di sforzo per restituire un patrimonio completamente fruibile. Il passo seguente deve necessariamente essere il dialogo tra enti proprietari e di gestione, che devono trovare il giusto linguaggio con i fruitori, che sono la cittadinanza. È importante poi responsabilizzare ogni aquilano di questo incredibile patrimonio ricostruito, di cui si deve sentire proprietario e come tale viverlo.