Il furgone agghindato da tricolori, che coprono rigorosamente anche le targhe, esce da piazza Castello e si incammina verso via Po. Il corteo improvvisato dei «forconi» lo segue. Sul retro del mezzo, il volto di Rambo armato e la scritta «Sto andando a Montecitorio chi viene con me?». È il primo pomeriggio di una seconda giornata di tensione a Torino, iniziata con i blocchi mattutini a piazza Derna e Pitagora. «Siamo italiani, siamo il popolo, andiamo a riprenderci la felicità» urlano al megafono. Il serpentone ha il passo veloce e si precipita verso i primi negozi. «Tirate giù. Giù le serrande, chiudete» urlano con rabbia. Tra i commercianti, che dopo la protesta di lunedì hanno riaperto, prevale il panico. E, sotto minaccia, le serrande vanno giù.
Il serpentone percorre via Po, dirigendosi verso la stazione Porta Nuova. In corteo molti giovani, alcuni giovanissimi (studenti degli istituti tecnici e professionali), ma anche adulti (venditori ambulanti, precari, lavoratori autonomi, disoccupati), la maggior parte di destra (neofascisti compresi), ma anche apolitici. Al collo bandiere tricolori o sciarpe della squadra del cuore. La polizia davanti li anticipa, senza i caschi che tanto hanno suscitato polemica il giorno prima. Gli agenti non si frappongono. Uno dei capi di questo movimento, alquanto fluido, posa il megafono e parla al telefono: «Tutto bene, i poliziotti sono dalla nostra parte». Poi, rilancia l’inno d’Italia, cantato a squarciagola. Se le parole non si conoscono poco importa, l’inno è un moto di orgoglio.

In mezzo alla manifestazione si incrociano storie di lavoro nero, tasse e affitti non pagati, mutui e rabbia nei confronti una politica considerata «criminale». L’accesso a Porta Nuova viene impedito, si va avanti lungo corso Vittorio Emanuele. Traffico in tilt. Gli autotrasportatori bloccano, invece, la superstrada da Torino all’aeroporto di Caselle.
A Nichelino, comune storicamente rosso, i forconi si sono messi in corteo dietro a un calesse trainato da un cavallo nero, mantenendo il presidio davanti al Comune: «Siamo assediati da lunedì – racconta Alessandro Azzolina, assessore alla Cultura – nella piazza scoppiano bombe carta, la protesta sta degenerando, la destra la cavalca, le frange ultras agitano gli animi. I commercianti si sono sfilati e alcuni di loro sono stati malmenati». A Torino la tensione è cresciuta anche davanti a Palazzo Lascaris, sono venuti quasi faccia a faccia gli operai della Fiom e gli attivisti del movimento 9 dicembre, al «vergogna» urlato dai forconi i metalmeccanici hanno risposto intonando «Bella ciao».
Torino, diventata quasi per caso capitale dei forconi, è semiparalizzata. Vuoti i mercati, bloccati i centri commerciali, che hanno messo in libertà il personale. La Flaica Cub definisce «inaccettabile ogni tentativo di far pagare ai dipendenti una vertenza che non li riguarda». In molte zone, i negozianti sono stati minacciati perché chiudessero. «Ottenere soggezione attraverso l’intimidazione organizzata è tipico dei sistemi mafiosi» sostiene il deputato Pd Davide Mattiello. «Tutto si può comprendere ma non lo sconvolgere una città, quella delle madri che non possono portare i figli all’asilo, dei negozi che non possono essere riforniti perché si bloccano i mercati» dice il sindaco Fassino, che chiede più polizia. Ieri c’è stato un fermato, accusato di aver lanciato una bomba carta a Porta Nuova. Lunedì, un arresto. Una dimostrante è stata investita a Carmagnola.
Ritorsioni nei riguardi delle attività commerciali anche in Puglia e a Imperia. Cortei e blocchi in Lombardia e Sicilia, Campania e Marche. In serata è intervenuto il ministro Alfano, dopo un vertice al Viminale: «La linea è quella del rispetto della legge e della democrazia. Noi siamo per dare supporto a chi protesta pacificamente, ma nel rispetto della legge, non consentiremo che le città vengano messe a fuoco. Sono inaccettabili le minacce ai commercianti».