Capetièmpe. Capodanni in Abruzzo è un volumetto sul folklore abruzzese di Vittorio Monaco, poeta e letterato scomparso nel 2009. Racconta con tono lieve e partecipato le «sue» tradizioni, descrivendole con quella grazia ed erudizione che appartengono anche alla sua opera poetica. Un’intelligente eleganza che troviamo anche nella veste grafica del volume, curato dal Centro Studi e Ricerche Vittorio Monaco e pubblicato dalla Textus Edizioni (euro 15).

Partendo dal reale Capodanno contadino, il periodo dedicato ai Morti, vengono raccontate le principali tradizioni dell’anno abruzzese fino alla Pasqua, in una circolarità del tempo tipica di una società che ha ancora memoria dei cicli agricoli e pastorali. Monaco cerca di cogliere la visione e il vissuto del mondo contadino, le sue coordinate, i ritmi circolari. Lo fa con intelligenza e un buon utilizzo delle fonti. La sua pari conoscenza dei classici e del territorio lo portano spesso a utilizzare concetti come survivals, arcaismi, comparativismi ed altri simili –ismi, che forse però interrompono la godibilità e il taglio personale del testo.

Un lavoro che fin dalle prime righe si presenta come l’analisi di una tradizione «storicamente superata ma tuttora capace di interrogare l’attualità: sui modi di vivere la morte, per esempio; sul senso della festa, sull’intimità simbiotica del rapporto tra uomo e Natura, così lontano dall’insolenza della modernità e dalla sicurezza pianificatrice del suo apparato scientifico-tecnologico». Un approccio, quello cosiddetto scientifico, che non sempre s’incastra con la sistemica della natura che «è un organismo vivente, mosso da forze misteriose, di cui l’uomo è una componente essenziale».

È qui forse la parte più interessante di Capetièmpe, quell’analizzare le tradizioni dal di dentro, non solo come fossili sociali o memorie, ma come un modello diverso e vivente che ha ancora qualcosa da dire: sistemi di significato incastrati nei luoghi che continuiamo ad abitare ma dei quali abbiamo dimenticato la logica sistemica.
Resta però la vitalità della tradizione popolare, capace di adattarsi ai cambiamenti che lo scorrere del tempo per sua natura impone, in barba ad ogni idea d’immutabile eredità del passato. La tradizione sembra essere un insieme di idee e azioni che uomini e donne di un dato territorio hanno scelto come elemento identitario, forse per difendersi da un mondo che percepiscono sempre più fluido, dematerializzato e quasi sganciato dai luoghi fisici.
Stringersi intorno ai Capetièmpe, raccontandone le storie, diviene una rassicurante narrazione che agisce su di un piano psicologico, sociale e identitario. Il racconto così diviene storia e l’immaginazione una tradizione, a sua volta potente collante di una comunità, in genere immaginata.