Prima del congedo natalizio, il Ministero del Lavoro ha dato il via alla riforma dei servizi per il lavoro e di politiche attive. La circolare del 23 dicembre 2015 esclude esplicitamente lo stato di disoccupazione come requisito necessario per l’eleggibilità alle misure di politica attiva. Facendo leva sul principio di non discriminazione, il Ministero ha voluto estendere la possibilità di accedere ai servizi di politica attiva del lavoro – in capo ai centri per l’impiego- anche tutti coloro che hanno già un lavoro «non a tempo pieno», «scarsamente remunerativo, o non confacente al proprio livello professionale o semplicemente perché alla ricerca di una occupazione più confacente alle proprie aspettative».

Allo stesso tempo, la circolare precisa che le richieste di prestazioni sociali (Naspi, Asdi, Dis-coll) – indirizzate all’Inps – non saranno più vincolate all’ immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa, da effettuarsi con l’iscrizione alle liste dei centri per l’impiego. Si passa quindi dalla condizionalità fondata sullo stato di disoccupazione, che implica la ricerca attiva del lavoro e la disponibilità a lavorare, a quella basata sull’inoccupazione, cioè l’assenza di lavoro ma la non (necessaria) disponibilità a lavorare.

Fin qui, si potrebbe ritenere che il governo italiano, tramite il ministero del Lavoro, stia procedendo verso un ampliamento della platea di beneficiari delle prestazioni sociali e dei servizi per il lavoro. Tuttavia la realtà è ben diversa ed è rivelata dai dettagli. Innanzitutto, l’accesso alle prestazioni sociali dipende dalla carriera lavorativa e non dalla ricerca attiva del lavoro e la circolare stessa stabilisce che la presentazione delle domande all’Inps «equivale a dichiarazione di immediata disponibilità».

Quel che cambia è il processo e la sequenzialità dei soggetti interessati: maggiore centralità è attribuita all’Inps che raccogliendo le domande, trasmetterà a un coordinamento nazionale, tutto da definire e implementare, i nominativi dei soggetti che, richiedendo le prestazioni sociali, si dicono disponibili a lavorare. Il futuro coordinamento nazionale comunicherà ai sistemi regionali e di conseguenza ai centri per l’impiego locali.

Diversi aspetti richiedono attenzione.

In prima battuta, sembra prendere piede il tentativo di ridurre il ruolo di mediazione dei centri per l’impiego tra domanda e offerta di lavoro con particolare attenzione ai casi più vulnerabili, infatti i soggetti più attivi (e con un lavoro) saranno coloro che maggiormente vi si rivolgeranno. Ciò comporterà un ulteriore sfilacciamento dei rapporti tra Stato, nelle vesti di amministratore, e cittadini, privilegiando le reti informali e relazionali, di cui i soggetti più vulnerabili, nel caso in cui ne abbiano accesso, sono parte debole.

In secondo luogo, le domande per le prestazioni sociali non saranno più filtrate e spetterà all’Inps gestirne il controllo, quindi bisognerà capire con quali risorse dopo gli ulteriori tagli ai sistemi informatici. Infine, rendendo superflua l’iscrizione ai centri per l’impiego e quindi la ricerca attiva di lavoro, tramite i canali istituzionali, il governo procede a modificare le statistiche stesse del lavoro. Infatti, i soggetti «non occupati» non rientrano tra i disoccupati secondo la definizione dell’Istat.

Se l’effetto scoraggiamento e fuga dai centri per l’impiego prevarrà, dal punto di vista statistico ci sarà un calo del numero dei disoccupati e del relativo tasso, senza che nulla sia realmente migliorato sul mercato del lavoro.

L’Istat ci scrive:

Gentile Direttore, il Manifesto del 12 gennaio ha pubblicato un articolo di Marta Fana nel quale si afferma, tra l’altro, che con la nuova procedura per dichiarare il proprio stato di inoccupato, prevista da una circolare del Ministero del Lavoro del 23 dicembre 2015, il governo procede a modificare le statistiche stesse del lavoro. Le segnalo che il 14 gennaio l’Istat ha diffuso un comunicato che chiarisce come questa ipotesi sia priva di fondamento e Le chiedo, cortesemente, di darne conto al fine di assicurare un’informazione corretta e completa ai lettori.

“In merito a quanto riportato da alcuni organi di stampa si precisa che: Per la stima mensile e trimestrale degli occupati e disoccupati, l’Istat non utilizza le informazioni fornite dai Centri per l’Impiego, ma esclusivamente quelle ricavate dalle interviste effettuate direttamente su un campione di cittadini nell’ambito della indagine sulle Forze di lavoro. Alle persone senza lavoro viene chiesto quali tipi di azioni di ricerca attiva hanno svolto per trovare una occupazione. Tali azioni possono essere di vario tipo, dalla ricerca via internet, all’invio di curricula, al contatto con i Centri dell’impiego, alla partecipazione a colloqui di lavoro eccetera. Il cambiamento introdotto dalla circolare del Ministero del Lavoro, diffusa lo scorso 23 dicembre, sulla possibilità di autocertificare il proprio stato di disoccupato senza l’obbligo d’iscrizione al Centro per l’Impiego non avrà pertanto alcuna ripercussione sulla stima del numero di disoccupati e sul tasso di disoccupazione in Italia, prodotti dall’Istat e da Eurostat”.

Massimo Tognoni, Ufficio stampa Istat

La replica di Marta Fana

In termini metodologici, è indiscutibile che poiché «l’Istat non utilizza le informazioni fornite dai Centri per l’Impiego, ma esclusivamente quelle ricavate dalle interviste effettuate direttamente su un campione di cittadini nell’ambito della indagine sulle Forze di lavoro», la circolare menzionata non ha un effetto diretto sul conteggio del numero dei disoccupati.

Tuttavia, la modifica dei rapporti tra Centri per l’impiego e disoccupati può influenzare la percezione dei cittadini circa la capacità di trovare lavoro attraverso l’agenzia pubblica.

Se infatti, i cittadini con minori reti o residenti in zone dove le agenzie private non esistono, allora potrebbe scaturire un effetto scoraggiamento. Se ciò avvenisse, il numero di disoccupati potrebbe diminuire per via di un aumento della componente inattiva. Inoltre, come richiamato in una successiva intervista sul «Fatto Quotidiano» del 13 gennaio, quel che rileva ai fini del calcolo dei disoccupati è il dato locale, che spesso trae origine proprio dai dati dei centri per l’impiego e su cui le politiche locali o di indirizzo (da parte dei sindacati) fanno riferimento.

Marta Fana

(pubblicata sul manifesto del 19 gennaio 2016)