Il film Tahar Cheriaa a l’Ombre du Baobab di Mohamed Challouf rappresenta già nelle immagini e testimonianze il nucleo del grande progetto che si sta attuando, la Cinemathèque de Tunis. Mohamed Challouf, critico tunisino, organizzatore culturale oltre che cineasta, ha raccolto idealmente il testimone dal pioniere Tahar Cheriaa fondatore di cineclub, della federazione dei cineclub, delle giornate di Cartagine, primo festival panafricano e arabo e fondatore con Sembène Ousmane nel 1970 della Fédération panafricaine des cinéastes. Il film raccoglie presenze fondamentali del cinema africano e arabo che si sono sviluppate grazie al lavoro culturale di Cheriaa: incontri, i primi concorsi, la risonanza internazionale che ha fatto conoscere nomi come il senegalese Djibril Diop Mambéty, l’egiziano Tawfik Saleh, il burkinabé Gaston Kaboré, il tunisino Mahmoud Ben Mahmoud. Tahar Cheriaa, scomparso nel 2010, lancia nel film un drammatico monito finale: «credevo che il cinema fosse un motore di civilizzazione, ma ho scoperto che i governi non cambiano niente, che strumentalizzano la cultura e non favoriscono la promozione dell’uomo». Mohamed Challouf ci può dare aggiornamenti sullo stato delle cose.
Quali notizie della Cineteca la cui apertura era stata annunciata a Venezia?
L’apertura è prevista per il 20 marzo, la festa dell’indipendenza tunisina, una parte sarà nella Cité de la Culture e una parte per la conservazione del patrimonio cinematografico nella Biblioteca nazionale. Non sarà né fondazione né associazione, sarà una direzione dentro il centro nazionale del cinema della Cinematografia e dell’Immagine che è nato nel 2011 e che si occupa di tutto quello che è cinema in Tunisia. Il direttore artistico è Hichem Ben Ammar, io occupo una funzione di consigliere artistico, mi occupo dei rapporti della Cineteca con l’estero, con le istituzioni e le altre cineteche, gli archivi per varie operazioni di collaborazione.
Quali sono state le prime attività?
La prima operazione della neonata cineteca tunisina è stato il restauro di Les baliseurs du désert di Nace Khemir con la collaborazione della reale cineteca di Bruxelles (Nicola Mazzanti) un contatto che avevo preso io per cominciare a occuparci del nostro patrimonio cinematografico, restaurarlo, digitalizzarlo. Nel frattempo abbiamo avuto anche una collaborazione con la cineteca di Lisbona restaurando un cortometraggio degli anni ’70 di Ridha Béhi il regista di Le soleil des Yènes. Quel film, Seuil interdit, del ’72, in bianco e nero era stato censurato all’epoca perché criticava la politica turistica della Tunisia e la repressione sessuale del giovane tunisino che viene provocato dalla presenza dell’altro e finisce per violentare una turista nel minareto della città santa. Un soggetto molto tabù, molto provocante. Noi abbiamo restaurato il film e lo abbiamo presentato a Cartagine. Con un laboratorio privato abbiamo restaurato uno dei primi corti di Idrissa Ouédraogo Les Écuelles, per dare la dimensione panafrica della cineteca. Tutte operazioni fatte per insistere sul fatto che una cineteca non deve essere una sala di programmazione del cinema d’autore, ma anche un luogo di restaurazione, di conservazione del patrimonio. In attesa di creare un laboratorio nostro per restaurare e digitalizzare il patrimonio.
Come pensate di procedere, con che finanziamenti?
Io sto cercando di non aspettare la burocrazia dello stato tunisino che ora non ha molti soldi perché la situazione economica è molto difficile, è già un miracolo aprire la cineteca, ma trovare un’altra soluzione attraverso la società civile, con un contatto privilegiato che abbiamo con Claudia Cardinale che è molto contenta di rientrare in Tunisia il 20 marzo perché la Cineteca si inaugura proprio con un omaggio a lei, con una retrospettiva di dieci film scelti da lei più una mostra sulla sua carriera cinematografica internazionale, sull’inizio della sua carriera in Tunisia e sulla sua infanzia e gioventù in Tunisia. Penso di coinvolgere Claudia Cardinale perché lei vuole avere un ruolo molto più importante che non l’inaugurazione: vuole aiutare la Cineteca con i suoi contatti, con la sua esperienza per poter realizzare altri eventi, come Carta bianca a lei, o una rassegna di film inerenti alla sua figura di ambasciatrice dell’Unesco per la donna e l’infanzia. A parte queste proposte che sta facendo lei, vorrei coinvolgerla perché il suo nome sia legato alla preservazione del patrimonio non solo tunisino ma panafricano e arabo.
Un progetto questo della Cineteca che sembra perfettamente legato al tuo film, al racconto della visione panafricana e panaraba, una logica continuazione.
Sì, continua il mio impegno per il panafricanismo, per la memoria di questi pionieri che si sono incontrati dopo l’indipendenza come Tahar Cheriaa, Sembene Ousmane, Moustapha Alassane del Niger pioniere dell’animazione. Il suo slogan era: uniti in Africa possiamo fare le cose, ognuno per sé siamo annientati da chi fa solo business sulla cultura. Questo è lo spirito di quello che vorrei fare. Io non sono un politico, sono un uomo libero della società civile. Visto che non si può andare avanti a livello dell’amministrazione vorrei trovare soluzioni alternative con la società civile per risolvere questo problema che ha tanti anni di ritardo per la conservazione e preservazione del nostro patrimonio.
Alle Giornate di Cartagine c’è un archivio dei film presentati?
Noi in Tunisia abbiamo un archivio dei negativi, dei positivi, dei cinegiornali della Tunisia, ma sono conservati male, sono su pellicola e non si possono più vedere con i nuovi strumenti di proiezione. Quest’estate a Hergla dove faccio il festival dedicato agli artigiani del cinema tunisino, montatori, direttori della fotografia, ingegneri del suono ecc. ho cercato di fare tre giornate di proiezioni in pellicola, 35, 16mm, super8 ed è stato quasi impossibile trovare le macchine per proiettare, siamo già nell’era del digitale e quello che contava prima per il cinema ora non conta più. Una cosa importante è conservare bene la pellicola in un luogo adatto e l’altra è trasformarlo in digitale per poterlo mostrare in Tunisia per le nuove generazioni e altrove. In questo «Viaggio in Italia del cinema tunisino» tutti i film sono in supporto digitale e abbiamo fatto i sottotitoli in italiano a due film.
Avete altri contatti con paesi africani o arabi?
Abbiamo contatti soprattutto con registi e produttori. Per esempio sono molto in contatto con Michel Kleifi, il regista palestinese che incoraggia il progetto tunisino per il restauro dei film, sono in contatto con Idrissa Ouédraogo, sono stato il tramite per restaurare il film del burkinabé Gaston Kaboré Wend Kuuni (Il dono di Dio) il suo primo lungometraggio che aveva vinto il Tanit d’argento a Cartagine e che in questi giorni grazie al restauro è programmato a New York.
Questi amici che ci aiutano come la cineteca di Bologna oppure la Fondation Seydoux-Pathé di Parigi non possono occuparsi di tutto il patrimonio, dobbiamo trovare una soluzione per farlo e formare i tecnici per occuparci delle migliaia di film che abbiamo.
Negli altri paesi ci sono archivi del genere?
Tunisia, Algeria e Marocco hanno i loro archivi. Il Burkina Faso ha una specie di cineteca, qualcosa di molto più formale che una cineteca. Ma la maggior parte dei paesi africani o anche quelli colonizzati dagli inglesi non ha niente, tutto è conservato nei laboratori esteri, non si sa dove sono i negativi. Adesso per poter avere accesso ai negativi bisogna pagare un sacco di soldi e addirittura molti registi non sanno più dove sono i loro negativi perché molti laboratori cinematografici sono falliti. È un lavoro molto urgente da fare soprattutto quando un cineasta è scomparso e nelle famiglie non c’è la coscienza di quello che si deve fare. Quasi tutti i film sono nella cineteca africana di Parigi che apparteneva prima al ministero della cooperazione francese che ha contribuito alla coproduzione di molti film africani. È morto qualche mese fa un regista camerunese Arthur Si Bita, il regista di Les coopérants (1983) vincitore del Tanit di bronzo a Cartagine. Quando è morto non hanno trovato niente per rendergli omaggio in Camerun. Tutto quello che c’era era all’estero.
Anche Dikongue-Pipa grande regista, pioniere del Camerun che ha fatto Muna Moto (Il figlio dell’altro) selezionato a Venezia, non ha niente nel suo paese da proporre.
Abbiamo parecchie scuole di cinema in Tunisia che devono avere un punto di riferimento per vedere i capolavori del cinema, ma dobbiamo anche lavorare per preservare il patrimonio non solo tunisino. Prima della sua morte al regista di Les Dupes (Gli ingannati) Tawfik Salah ho promesso di far rinascere il suo film, un capolavoro del cinema arabo prodotto dall’istituto siriano e che non è più in giro perché non ci sono più copie.
Quali sono in particolare i rapporti con l’Italia?
Abbiamo molti progetti per il cinema italiano. Dopo l’estate vogliamo rendere omaggio a Giuseppe Rotunno, che è anziano e in sua vece ci sarà il suo allievo, il direttore della fotografia tunisino Tarek Ben Abdallah. Inviteremo il gruppo Yu Yu Mondi per festeggiare il 1° maggio con un concerto e il film Sciopero.
Vogliamo che questa nostra esperienza parli tutte le lingue del mondo, non vogliamo la solita prevalenza francofona. I francesi saranno ospiti come tutte le altre nazioni del mondo, inviteremo i maestri del cinema di tutti i paesi. E vogliamo rapporti di scambio, non solo chiedere agli altri di aiutarci. Per esempio questo viaggio in Italia con il cinema tunisino porta qualcosa alla cineteca di Milano, Roma, alla filmoteca siciliana a Cinemazero e filmoteca del Friuli e a Perugia, dà loro una programmazione: è uno scambio nella dignità. Portiamo film che abbiamo sottotitolato in italiano e vogliamo che questo rapporto sia alla pari perché si parla moltissimo dell’immigrazione dei tunisini in Italia e ci si è dimenticati di più di 120 mila italiani che erano fuggiti da vari problemi politici, come i mazziniani di Livorno, i siciliani che non trovavano lavoro. Si parla solo degli italiani andati in Australia o in America, non si parla di questi italiani che hanno vissuto per un secolo con i tunisini nel rispetto e nello scambio reciproco e neanche dei seimila russi bianchi scappati dalla rivoluzione bolscevica come racconta Anastasia di Bizerthe il film di Mahmoud Ben Mahmoud, o gli oltre mille greci specializzati nella pesca della spugna.
Siamo stati anche noi una terra dell’accoglienza che ha forgiato la mentalità mediterranea del tunisino.