Prima è stato Xi Jinping a richiedere a tutti i paesi di prepararsi a usare uno standard – propose i Qr Code, ampiamente usati, da anni, in Cina – per consentire alle persone di riprendere a viaggiare.
Poi la Cina ha proposto l’istituzione di un passaporto vaccinale, facoltativo, agganciato a WeChat, la super app cinese indispensabile ormai per vivere in Cina e con la quale si paga, si prenota cibo, si pagano le tasse e di recente si ottengono anche i «codici-salute» per muoversi all’interno del paese.

Subito dopo la proposta, in realtà, sui media cinesi sono apparsi articoli critici nei confronti dell’idea del passaporto vaccinale, perché aumenterebbero le discriminazioni. Infine è arrivata la proposta attuale, ovvero utilizzare una sorta di certificato con il quale i lavoratori stranieri residenti in Cina possono tornare nel paese: purché siano vaccinati, con uno dei cinque vaccini cinesi.

Questo requisito limiterà la possibilità di spostarsi – ai cinesi e agli stranieri desiderosi o obbligati a tornare in Cina – solo in quei paesi che fanno parte di quella mappa geopolitica che la Cina sta tessendo, fornendo vaccini a prezzi accessibili. Al momento i paesi coinvolti (con un messaggio su WeChat alle ambasciate) sono Hong Kong, Usa, Regno Unito, India, Australia, Iraq, Thailandia, Croazia, Israele, Pakistan e Filippine.

Dato che non tutti questi paesi usano vaccini cinesi, anzi, Pechino ha negato che la regola sia stata progettata per spingere altri paesi a riconoscere i vaccini cinesiNon sono previsti all’interno di questa possibilità gli studenti, che pare da tempo chiedono di poter tornare in Cina a studiare.