«Dobbiamo ribadire la nostra aspettativa che Pechino si astenga da azioni di supporto a Mosca e partecipi attivamente e con autorevolezza allo sforzo di pace», così il premier italiano Mario Draghi ieri al Senato nella sua informativa in vista del Consiglio europeo.

Gli ha fatto eco il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che a Pechino ha ricordato di essere «coerente con il suo ruolo di membro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite» e la ha esortata a chiedere «la fine immediata della guerra in Ucraina». Sono le stesse parole che dall’inizio del conflitto ripetono americani e non solo, alla ricerca di una posizione netta cinese che al momento non arriva. Questo non significa che Pechino non stia facendo i propri calcoli: la Cina è dibattuta dalla tentazione di approfittare della situazione, in diversi modi, e dalla consapevolezza che rispettare le sanzioni e allentare i legami economici con Mosca potrebbero consentire una maggiore agibilità politica, specie agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

È pur vero che però i numeri a Pechino contano e l’interscambio commerciale Cina-Russia (147 miliardi di dollari) non è paragonabile in termini di rilevanza a quello tra Cina e Usa (750 miliardi) e quello tra Cina e Unione europea (820 miliardi). Allo stesso modo – però – la mancata condanna esplicita di Pechino nei confronti di Putin tiene conto della necessità di non avere come alleato un prossimo paria nell’arena internazionale, come confermato dalle dichiarazioni di ieri sulla presenza russa nel G20: «La Russia è un esponente importante del G20 e nessun altro Paese aderente al gruppo ha il diritto di espellerla», ha detto nella conferenza stampa di ieri il portavoce di Pechino. Ma come vedremo questa retorica non è tanto rivolta all’opinione pubblica internazionale, quanto a zone del mondo dove la narrazione sul «doppio standard» occidentale fa ancora presa, ad esempio in Africa: in questi giorni la Cina ha riportato la propria posizione a Sudafrica, Algeria, Tanzania e Gambia riscuotendo un buon riscontro dai paesi africani, scettici sull’operato delle potenze occidentali.

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Sul tema del sostegno o meno cinese alla Russia, nei giorni scorsi ha fatto molto discutere quanto raccontato dall’ambasciatore cinese in Russia a imprenditori cinesi che operano sul territorio russo. Zhang Hanhui – come riportato dalle agenzie – «ha incalzato gli uomini d’affari e le associazioni imprenditoriali del Dragone a valutare tutte le situazioni disponibili in Russia nell’attuale crisi». Zhang ha chiesto di non perdere tempo e di «riempire il vuoto» nel mercato locale, descrivendo la situazione attuale come «un’opportunità».

Ma altre voci sono state raccolte in questi giorni, consegnandoci una classe di imprenditori in balia degli eventi. Il Financial Times, ad esempio, ha ricordato «un recente sondaggio condotto da Fob Shanghai, un forum del settore su 322 esportatori cinesi: il 39% degli intervistati ha affermato che la guerra ha «gravemente» minato i loro affari russi. Gli importatori non se la passano molto meglio. Secondo Refinitiv, un fornitore di dati, le esportazioni di carbone della Russia verso l’Asia, dove la Cina è il principale acquirente, sono scese a 1,8 milioni di tonnellate nelle prime due settimane di marzo rispetto ai 62 milioni di tonnellate di febbraio».

Ma i segnali più forti che indicano una cautela cinese nel sostegno economico a Mosca sono quelli della banca centrale e dall’Asian Infrastructure and Investment Bank (la banca della nuova via della seta a guida cinese, benché come azionisti ci siano anche Russia e India, che al momento ha aumentato i suoi acquisti di petrolio da Mosca, da cui dipende il 60% dei suoi acquisti di armi, senza che questo abbia sollevato particolari perplessità né in Asia né in Europa).

Come riportato dalla Cnn, infatti, «se la Cina permettesse a Mosca di convertire le sue riserve di yuan in dollari o euro, aiuterebbe l’attuale impasse della Russia. Tuttavia, il rischio reputazionale di una potenziale violazione delle sanzioni occidentali sarebbe un passo enorme da compiere per la Pboc e quindi lo rende altamente improbabile».

Ancora più rilevante la scelta dell’Aiib: in una dichiarazione ha affermato che avrebbe sospeso tutte le sue attività relative alla Russia e alla Bielorussia «mentre si svolge la guerra in Ucraina, nel migliore interesse» della banca.