Le previsioni dei governi sulla produzione di carbone, petrolio e gas per il 2030 sono ancora più del doppio di quella compatibile con la limitazione del riscaldamento globale a +1,5 gradi: lo riferisce l’Onu, in queste ore, sottolineando che per sperare di rimanere nell’ambito dell’obiettivo dell’accordo di Parigi, sarebbe necessario limitare immediatamente la produzione mondiale di combustibili fossili.

I piani globali ne prevedono invece un aumento. Ma la Cina, per esempio, riuscirà mai a liberarsi del carbone? Abbiamo rivolto alcune domande a Li Haibing, un noto ricercatore cinese di geologia tettonica, studioso della faglia di scorrimento dell’altopiano tibetano del Qinghai, esperto di fisica dei terremoti, ma anche del rapporto tra terremoti, petrolio e gas.
Parliamo con lui della Cop 15, a Kunnming (Cina), sulla biodiversità a rischio, come l’intero pianeta peraltro. In quel contesto ufficiale, nel discorso di apertura, il presidente cinese Xi Jinping, che ha premiato più volte Haibing come talento nazionale, ha dichiarato che la Cina assumerà la guida sul tema e contribuirà con 1,5 miliardi di yuan all’istituzione del Fondo per la biodiversità.

Può spiegarci che cosa è emerso da questa Cop 15, legata ai temi della Cop26 di prossima apertura a Glasgow?
In questi giorni, numerosi leader hanno evidenziato, con chiari dati alla mano, il rapporto intrinseco tra crisi climatica e crisi della biodiversità; è stata un’importante opportunità per affrontare entrambe le questioni, al momento scottanti, attraverso azioni congiunte e dirette ai lavori di Glasgow. Il presidente Macron ha invitato tutti a garantire che il 30% dei fondi per il clima venga utilizzato a sostegno della biodiversità; poi Gavin Edwards, coordinatore del New Deal for Nature and People per il WWF Internazionale, ha dichiarato che vanno eliminati i sussidi alle pratiche agricole distruttive. Sembrano discorsi un po’ vuoti, invece riguardano la vita di noi tutti e, qui da noi, vengono affrontati forse per la prima volta e per la prima volta sono sentiti come urgenti. Tuttavia le cose sono molto complicate da cambiare, più del 50% dell’energia viene dal carbone e i più importanti gruppi industriali sulla combustione dei fossili ha qui i suoi interessi. È allora sì essenziale che ogni leader intensifichi gli sforzi e che il quadro globale per la biodiversità sia implementato, di anno in anno, fino allo step del 2030 e poi del 2050, ma gli sforzi della Cina dovrebbero iniziare sin da oggi (e saremmo già in ritardo). La COP26 per il clima a Glasgow e la COP15 per la biodiversità sono due momenti chiave per progettare, con serietà, un futuro equo a zero emissioni nette.

Crede sia davvero possibile entro il 2030?
Qualcosa si otterrà da ogni parte del mondo, il problema è orientare questi provvedimenti in maniera sana, socialmente sostenibile. Il blackout cinese di questi giorni, pur nascendo con le buone intenzioni di razionare l’energia elettrica contro l’insostenibile inquinamento, sta creando il panico nel tessuto produttivo, non di certo a scapito delle grandi multinazionali, ma a danno delle operaie e degli operai…Quindi della famiglie. A farne le spese maggiori, al momento, è la regione cinese della Rust Belt, nel nord-est. A Shenyang, una città nella provincia di Liaoning, per dire una piccola cosa, i segnali stradali hanno smesso di funzionare, causando congestioni. Nella provincia di Jilin, l’approvvigionamento idrico della città è stato instabile e i funzionari hanno invitato i cittadini a fare scorta di acqua. La ragione principale della carenza di elettricità è il calo delle operazioni nelle centrali a carbone. Il prezzo del carbone è aumentato di oltre il 30% rispetto all’anno precedente, costringendo le centrali a ridurre la produzione di energia: ma in questo modo decisamente non va.

Il presidente Xi Jinping si è impegnato a ridurre le emissioni di anidride carbonica entro il 2030 e a raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2060. Gli sforzi del governo locale per raggiungere questi obiettivi da un lato sono in atto, ma a scapito dei ceti più deboli, dall’altro vengono anche pesantemente trasgrediti. Che ne pensa? Non ha l’impressione che il governo cinese, in vista della COP 26, stia mentendo?
Detta così non mi andrebbe di rispondere, ma da scienziato, con dati alla mano e senza pregiudizi e giudizi, le dico che l’anno scorso la Cina ha prodotto 3,9 miliardi di tonnellate di carbone e quest’anno la produzione è prevista ancora in aumento.
Dopo l’annuncio di Pechino, la Cop26 sembra indirizzarsi verso l’ennesimo fallimento… Tra i 10 Paesi responsabili della maggior parte delle emissioni dal 1850 a oggi, soltanto quattro hanno annunciato obiettivi di riduzione più ambiziosi. Cina, Russia, India, Giappone, Indonesia e Brasile, invece, non hanno presentato piani soddisfacenti. In tal senso, è anche difficile immaginare che la COP 15 abbia obiettivi seri e concreti.
Intanto il mondo ci guarda e questo certamente non potrà essere ignorato dal governo cinese. La Cina sarà la chiave per i colloqui non solo sulla biodiversità, ma su tutto il cambiamento climatico globale. Purtroppo il presidente della COP26, Alok Sharma, ha dichiarato che le intenzioni del presidente cinese, al momento, sono ancora molto dubbie. Noi scienziati possiamo solo dire che l’ambiente ha bisogno che la Cina gli dia una mano, ma sono gli stessi cittadini cinesi che lo desiderano. Ogni giorno 4 mila cinesi si svegliano e vanno incontro a gravissime malattie a causa delle emissioni climalternanti.