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Un profetico Marco Bellocchio

Un profetico Marco BellocchioMarco Bellocchio – Foto Reuters

Mostra del cinema Un incontro con il regista a Venezia per il restauro e la proiezione del suo «La Cina è vicina» del 1967

Pubblicato circa 10 anni fa

«La Cina è vicina era uno slogan su un muro di Milano che notò mio fratello nel 1966, scritto da piccoli gruppi maoisti. Mi piaceva la distanza siderale che evocava, visto che il mio film parlava della piccola politica di Imola, e in più volevo trovare un senso metaforico di una realtà politica governata dal puro trasformismo dove si sognava che una ventata rivoluzionaria spazzasse via tutti i parassiti ideologici. Queste le suggestioni di quello slogan, insieme alla sua carica grottesca e provocatoria». Marco Bellocchio rievoca così la genesi del suo film, a poche ore dalla proiezione in Venezia Classics, della pellicola restaurata in 4K dalla Fondazione Cineteca di Bologna in collaborazione con Sony-Columbia e il laboratorio L’Immagine Ritrovata. «Un piacere aver restaurato una pellicola che oltre a un’inestimabile valore artistico, possiede una grande fattura tecnica – precisa il direttore del laboratorio Davide Pozzi – Le musiche di Ennio Morricone ma soprattutto la fotografia in bianco e nero di Tonino Delli Colli su pellicola Dupont, la migliore dell’epoca. Il negativo originale era nei magazzini della Columbia di Los Angeles». Film esplosivo e feroce in Concorso alla Mostra del 1967 – in lizza per il Leone di quell’anno c’era anche La cinese di Jean-Luc Godard – La Cina è vicina si aggiudicò il Gran Premio della Giuria ma le critiche al regista furono spietate almeno quanto il suo urlo anti-socialista.
«Nel 1967 era un film molto attuale, fui accusato di essermi venduto al mercato, dopo un film come I pugni in tasca. I partiti avevano un peso ideologico enorme e la politica, per chi era giovane come me, era una possibilità di cambiare la società, ma i socialisti erano oggetto di derisione, i comunisti sembravano pronti per la rivoluzione e in fondo erano ancora revisionisti, la Democrazia Cristiana era il partito dell’ordine. Oramai c’è poco di contemporaneità nel mio film, un tempo i partiti riguardavano il cambiamento ora invece non rappresentano più nulla».
La presenza di Marco Bellocchio è anche un’occasione per parlare della sua recente nomina a presidente della Fondazione Cineteca di Bologna. «Questo nuovo ruolo è arrivato assolutamente per caso. Cercherò di fare qualcosa che non sia solo restauro e conservazione anche perché la Cineteca è già di per sé una macchina formidabile. Vista la mia esperienza a Bobbio come direttore di un festival che si occupa anche di formazione cinematografica, vorrei favorire le produzioni, vorrei che la Cineteca diventasse anche produttrice di piccoli, grandi film. Mancano talenti originali al giorno d’oggi e vorrei dunque ricercare dei progetti speciali. Spero che parallelamente si sviluppi, come in altre regioni d’Italia, una grande film commission regionale».
Le mancanze dell’Italia nei confronti del proprio cinema viene anche sottolineato dal direttore della Cineteca Gianluca Farinell («la televisione di stato se ne frega altamente del nostro patrimonio cinematografico, un po’ come accade in Egitto, altro paese dalla cinematografia ricchissima ma abbandonata, il contrario di quello che accade in Francia…»), prima di ricordare una delle grandi peculiarità del cinema italiano: la dimensione profetica di tanti film che, a differenza di altri paesi come gli Stati Uniti, hanno saputo prevedere nel tempo le derive sociali e politiche. Primo fra tutti, proprio Marco Bellocchio.

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