Melendugno, Lecce. Il faro bianco di Punta Palascia dista 20 km: qui per i geografi finisce l’Adriatico, non a Santa Maria di Leuca, come vogliono le convenzioni nautiche dei portolani. Lì è il finis terrae, mentre più a nord le due coste non fanno che avvicinarsi. L’Albania è sullo sfondo una montagna continua che, nei giorni di tramontana, sembra foschia. Qui invece la costa è bassa, come la descrisse Virgilio nel III libro dell’Eneide.
Il litorale, quando non devastato dall’abusivismo, pianificato o meno, è ciò che resta di un ecosistema edenico. La riserva statale Le Cesine, le mete turistiche dalle acque cristalline e cangianti di San Foca, Roca, Torre dell’Orso, Sant’Andrea. E San Basilio, dove nel 2007 furono 41 i piccoli di Caretta Caretta nati sull’arenile; lieto evento che molte speranze diede ai responsabili del progetto europeo «Tartanet». Alle marine di Melendugno manca poco per rappresentare l’istantanea del paesaggio perfetto. L’unico turbamento a un tempo che pare immobile viene dalla posizione geografica, croce e delizia dello spirito del luogo. Perché chiunque avesse voluto attraversare il mare lo fece da qui, il punto più vicino tra le due sponde: Enea, i monaci basiliani in fuga dalle persecuzioni iconoclaste nell’VIII secolo, i turchi di Ahmet Pascià nell’estate del 1480, le migliaia di albanesi in cerca di giorni migliori nel 1991. Lo stesso discorso vale per la tecnologia, con il primo cavo telegrafico costruito nel neonato Regno d’Italia: il sottomarino Otranto – Valona, posato dalla Ditta Henley di Londra nel 1864. E, ora, il gasdotto della Tap.

La sezione offshore

La Trans Adriatic Pipeline, società con sede in Svizzera che vede tra i suoi maggiori azionisti British Petroleum e la compagnia petrolifera di stato azera SOCAR, trasporterà gas naturale dal colosso Shah Deniz II in Azerbaigian, collegando il confine greco-turco, dalla cittadina ellenica di Kipoi, alla Puglia. La sezione offshore del metanodotto, lunga circa 45 km, partirà dalla città albanese di Fier.
Il 10 settembre Tap ha consegnato lo studio di impatto ambientale e sociale – ESIA – al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Eppure il resoconto, comprensivo anche di una valutazione archeologica preventiva che non ha segnalato situazioni di evidente rischio almeno «nel buffer di cento metri che costituisce l’area di progetto», non ha fugato le perplessità di una società civile, dai pescatori agli ambientalisti, poco convinta dalle rassicurazioni dei costruttori sul ripristino integrale dei luoghi dopo i lavori. Troppa ricca, per non preoccuparsi, la biodiversità del mare, dove il condotto striscerà tra vaste distese di Posidonia Oceanica, e la cultura delle terre che il gasdotto penetrerà proprio all’altezza della spiaggia delle tartarughe: un «microtunnel» lungo 1500 metri, infatti, passerà 10 metri sotto la sabbia in località San Foca, tra il Lido di San Basilio e lo stabilimento Chicalinda. Da qui una cicatrice sotto pelle, spessa poco più di 90 cm, si inoltrerà per 8,2 km nelle campagne salentine a 1,5 metri di profondità, tra aziende agricole e ulivi secolari. Il cantiere, che si prevede di portare a termine entro 2 o 3 anni, sarà ampio 26 metri e culminerà con un Terminale di Ricezione (PRT): un alieno di 12 ettari nel bel mezzo di fertili campi, vicino alla Masseria del Capitano e a 800 metri dalle prime abitazioni.

«Nessuna sostenibilità»

«La Tap non è sostenibile né dal punto di vista economico, né sotto l’aspetto ambientale e culturale», spiega Gianluca Maggiore, portavoce del Comitato No Tap: «L’opera è stata pensata oltre un decennio fa, quando si prevedevano consumi di gas mai raggiunti e non si teneva conto dell’aumento di produzione di energia rinnovabile».
«Lungo il tracciato, abbiamo contato 13 punti di interesse archeologico: il cantiere passa vicinissimo ai dolmen Placa e Gurgulante; quest’ultimo sorge addirittura a 200 metri di distanza dall’area intaccata dal PRT», continua il portavoce. «Il percorso del gasdotto costeggia l’abbazia benedettina di San Niceta, i cui resti sono adiacenti al cimitero di Melendugno, e ricalca l’antica strada percorsa dai monaci per raggiungere la spiaggia di San Basilio. Un viale chiamato via delle lizze perché costeggiato da splendidi lecci». La cappella di S. Niceta, unica testimonianza superstite dell’illustre abbazia fondata nel 1167, si staglia a pochi passi dai resti di una villa rustica di età romana. Secondo gli archeologi, il complesso era in collegamento diretto tramite un asse viario secondario della via Traiana Calabra con l’insediamento costiero di San Foca. Più o meno, lo stesso itinerario della Tap e della via basiliana, nel medioevo.
In età moderna, l’assetto del territorio è stato invece definito dal sistema delle masserie. La seicentesca masseria Incioli, sottoposta a vincolo architettonico un chilometro a sud dell’area di progetto, è stata fortificata con un notevole impianto a torre quadrata. Una pianta simile caratterizza la masseria San Basilio, situata a poche centinaia di metri dal mare, a circa 450 metri dal punto in cui il gasdotto riemerge in superficie dal microtunnel.
«Il litorale salentino, nel tratto compreso tra Torre Specchia Ruggeri e S. Andrea, è ricco di testimonianze archeologiche di grande rilevanza (S. Foca, Roca Vecchia, Grotta Poesia, Grotta S. Cristoforo, Torre dell’Orso), che coprono un arco cronologico compreso tra il mesolitico e l’età medievale. Alle emergenze ancora riscontrabili sulla costa, fanno riscontro in alcuni casi anche preesistenze sommerse». Così si legge nel Documento di Valutazione Archeologica Preventiva presentato al Ministero e che segnala 31 siti nell’area limitrofa al tracciato della Tap.

Dopo gli scempi edilizi

«Che sia interessante o meno dal punto di vista archeologico, qualsiasi territorio merita la massima attenzione affinché non se ne peggiori la condizione, quanto accaduto con gli scempi edilizi finora perpetrati proprio a Melendugno, da Torre dell’Orso a San Foca», sottolinea Elettra Ingravallo, paletnologa presso l’Università di Lecce e profonda conoscitrice del Salento. «Nell’area di Melendugno, la presenza di alcuni dolmen non aggiunge purtroppo molto alla ricostruzione delle vicende relative all’età dei metalli, perché si tratta di vecchi ritrovamenti privi di contesto. Altre evidenze, soprattutto nella zona dei laghi Alimini, riguardano piuttosto il mesolitico (10.000-7500 a. C.): Grotta Marisa è uno dei siti più noti dell’Italia meridionale. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si tratta di ricerche casuali che hanno restituito testimonianze su vari momenti pre e protostorici senza mai fornire un inquadramento coerente. L’unico scavo sistematico a Melendugno è quello, straordinario, di Roca».
Senza dubbio è quest’insediamento, ancora presenziato dalla cinquecentesca torre di avvistamento, l’obbligato punto di partenza per chiunque voglia scoprire il considerevole patrimonio culturale della cittadina. Abitato con continuità dall’età del bronzo all’epoca messapica, abbandonato al tempo dei romani, il villaggio rinacque nel medioevo per essere definitivamente distrutto nel 1544 su ordine del governatore spagnolo, timoroso potesse servire da rifugio ai pirati barbareschi.
Nel corso dell’intero 2013, il comune di Vernole è sede della mostra, tanto propizia quanto illuminante, Roca nel Mediterraneo, l’Età del Bronzo e del Ferro (www.rocanelmediterraneo.it). A cura di Oronzina Malecore, l’esposizione è ospitata nei suggestivi spazi del castello di Acaya, centro nevralgico della città ideale disegnata nel 1535 dal nobile Gian Giacomo dell’Acaya, lo stesso architetto delle mura di Lecce.
Le sale introduttive, che illustrano il ruolo strategico dell’insediamento nella geografia millenaria dei traffici nell’Adriatico, concentrano l’attenzione sull’evoluzione storica del paesaggio costiero salentino, raccontando il suo compianto stato originario attraverso gli itinerari storico-naturalistici del Parco Archeologico di Roca e della vicina Riserva Le Cesine. La sezione centrale, prettamente archeologica, è invece dedicata alle principali fasi di vita dell’abitato protostorico, dal XVII all’VIII secolo a.C. Degni di nota soprattutto i numerosi reperti ceramici che, insieme a manufatti in bronzo, pietra e avorio, attestano un boom di importazioni dal mondo miceneo tra XIV e XIII secolo: l’esatto arco temporale nel quale gli antichi commentatori collocavano la guerra di Troia e il viaggio di Enea. Epilogo del percorso espositivo sono le preziose iscrizioni votive, in lingua messapica, greca e latina, incise sulle pareti della Grotta Poesia, luogo di culto per genti diverse dalla tarda preistoria all’epoca romana.
D’estate, dal bordo della volta crollata della grotta, i turisti, in pochi rispettosi del territorio e molti ignari delle sue ricchezze, si sporgono per tuffarsi in un mare dalla bellezza incomparabile. Gli ulivi alle spalle, grotte basiliane di fronte, l’archeologia tutt’intorno e, tra qualche anno, il gas del Mar Caspio, come una Cariddi postmoderna, nascosto dalle onde e dalla sabbia a pochi chilometri di distanza.