Il volume che, nel bicentenario della nascita di Marx, Sebastiano Maffettone ha dedicato al pensatore di Treviri (Karl Marx nel XXI secolo, Luiss University Press, pp. 186, euro 12) merita di essere letto almeno per due ragioni: la prima è che il libro costituisce un tentativo ben riuscito di raccontare, anche al lettore non specialista, le principali tesi di Marx con un linguaggio non paludato, chiaro e attuale.

LA SECONDA E PRINCIPALE ragione di interesse sta nel fatto che, oltre a essere una buona esposizione sintetica del pensiero marxiano, il volume di Maffettone è anche qualcosa di più. È una riflessione su una domanda che oggi mi sembra molto giusto porsi, e cioè: che rapporto ci può essere tra un pensiero liberal-progressista (ispirato a John Rawls e alla sua visione della giustizia sociale) e le analisi di Marx sul capitalismo e sul socialismo? Maffettone, che con Salvatore Veca è stato uno dei protagonisti della «importazione» di Rawls in Italia, si sofferma in modo approfondito su questo tema. Proviamo a riassumere le conclusioni alle quali arriva.
Il punto di contatto più forte tra Marx e le teorie contemporanee della giustizia sociale si può individuare nella critica marxiana dello sfruttamento. Ma per stabilire questo contatto, il concetto marxiano deve essere notevolmente trasformato. Marx infatti, in molti dei suoi testi, rifiutava di dare al concetto di sfruttamento una qualificazione moralmente negativa e di caratterizzarlo come ingiustizia. Sostenendo questo punto di vista però – obiettano a Marx Maffettone e altri esponenti della «sinistra rawlsiana» – l’autore del Manifesto del partito comunista non era molto coerente: se lo sfruttamento non è un’ingiustizia, si osserva, perché Marx lo definisce anche un «furto» del lavoro operaio, una appropriazione senza corrispettivo? Perché lo denuncia con tanta energia?
Se si prendono sul serio queste domande, si può arrivare alla conclusione che, in qualche modo, anche quella di Marx è una teoria della giustizia (anzi, più propriamente, dell’ingiustizia sociale) e dunque il dialogo con le visioni ispirate a Rawls, o almeno con le sue interpretazioni più radicali, è possibile e proficuo. Molti del resto lo hanno perseguito, soprattutto negli Usa e in Gran Bretagna, con risultati interessanti. La tesi a cui sono giunte queste riflessioni che si collocano all’incrocio tra Marx e Rawls si potrebbe riassumere così.

UNA VOLTA LIBERATO dalla connessione con la teoria del valore-lavoro (quella elaborata dai «classici» che l’economia moderna ha rifiutato) il concetto di sfruttamento conserva un senso molto semplice e lineare. Esso attira l’attenzione sul fatto che la società si divide tra coloro che possiedono capitali e coloro che, per vivere, devono vendere ad essi il loro lavoro; da questa divisione consegue che i lavoratori, per poter accedere ai mezzi di produzione che sono monopolio dei capitalisti, devono lasciare che essi si approprino di una quota del prodotto del lavoro cioè, come diceva Marx, devono cedere gratis una parte del loro tempo di lavoro. Alla radice di questa relazione, che possiamo chiamare di sfruttamento, vi è semplicemente una squilibrata, dunque ingiusta, distribuzione iniziale delle risorse produttive. Se si ripensa la questione in questo modo, tra la critica marxiana dello sfruttamento (opportunamente semplificata ed emendata) e le teorie contemporanee della giustizia egualitaria si possono trovare diversi punti di convergenza.

TRA I MOLTI ALTRI TEMI di Marx su cui Maffettone si sofferma, due hanno un rilievo particolare: la critica delle ideologie e l’analisi del capitalismo. Per quanto riguarda la prima, Maffettone giustamente osserva che essa va praticata con moderazione, perché se la si spinge troppo in là si rischia di ridurre ogni teoria, anche quella di Marx, a una mera ideologia. E allora dove va a finire il suo contenuto di verità?

SULL’ANALISI DEL CAPITALISMO, la conclusione di Maffettone è in sostanza la seguente: dal punto di vista di ciò che è diventata «tecnicamente» l’economia, Marx è ampiamente superato. Ciò che invece è ancora molto pertinente è la sua analisi storico-economica di alcune grandi contraddizioni che sono connaturate all’economia capitalistica: per esempio quella tra sviluppo e lavoro, per cui lo sviluppo e l’innovazione non creano lavoro ma addirittura lo sopprimono, con devastanti conseguenze sociali. Oppure la drammatica tensione, che già Marx intravede e che oggi è diventata eclatante, tra un modo di produzione che si basa sulla crescita illimitata e le risorse limitate del pianeta sul quale abitiamo.