La Chiesa cattolica paghi gli arretrati dell’Ici 2006-2011 mai versati e l’Imu sugli immobili dove si svolgono attività non di culto ma commerciali. Lo prevede un emendamento alla legge di bilancio presentato in Senato dal pentastellato Lannutti, che rimodula un ddl già depositato a Palazzo Madama un mese fa dai senatori Cinquestelle.

In realtà non c’è nulla di nuovo, o quasi. Indubbiamente però si rimette sul tavolo un nodo mai sciolto. Che enti ecclesiastici e non profit debbano pagare gli arretrati dell’Ici lo avevano già stabilito alcune sentenze dell’Europa (dopo i ricorsi dei Radicali), l’ultima delle quali – della Corte di giustizia Ue nel novembre 2018 – rivolta espressamente all’ex governo giallo-verde. Ma fino ad ora nulla è accaduto. L’emendamento prevede che le istituzioni ecclesiastiche e «le associazioni o società legate alla religione cattolica» – una formulazione che si presenta decisamente generica – «autocertifichino» i propri bilanci e i Comuni, in base a tale autocertificazione, riscuotano le tasse non pagate.
E che l’Imu debba essere versato dagli enti ecclesiastici e non profit sulle porzioni di edificio nelle quali si svolgono attività commerciali lo dice la legge vigente. Su questo aspetto, l’emendamento Lannutti specifica quali sono queste attività: «ristorazione, caffetteria e hotelleria», «servizi sanitari a pagamento in percentuale pari o superiore al 30% rispetto al fatturato complessivo»). Ed aggiunge che – evidentemente supponendo che gli enti cattolici facciano i furbi – i bilanci superiori a centomila euro debbano essere certificati da un revisore esterno.

L’esenzione Ici sugli immobili della Chiesa fu introdotta immediatamente, nel 1992. Successivamente la Cassazione, in seguito ad una causa del Comune dell’Aquila contro un istituto di suore che non versava l’Ici su due edifici usati come casa di cura per anziani e pensionato per studentesse universitarie entrambi a pagamento, stabilì che le suore – e tutti gli altri enti ecclesiasrici – dovevano pagare. Poi il premier Berlusconi, forse pensando alla zia suora, introdusse l’esenzione per tutti gli immobili di proprietà ecclesiastica, anche se svolgevano attività commerciali. Subito dopo Prodi ridusse parzialmente l’esenzione, limitandola agli immobili che non avessero «esclusivamente» natura commerciale, ovvero non tutti ma quasi. Infine Monti – l’Ici era diventato Imu – decise di separare gli spazi in cui venivano svolte attività sociali e di culto da quelli destinati ad attività commerciali: esenti i primi, paganti i secondi. Chissà se ora il governo Conte riuscirà nell’impresa di regolarizzare la situazione.

È un tema che «torna come una minestra riscaldata che non è più buona», commenta il vescovo di Campobasso mons. Bregantini, «la manovra si occupi piuttosto dell’emergenza denatalità». Detto fatto: un emendamento cinquestelle propone la riduzione dell’Iva al 10% su profilattici ed anticoncezionali.