Chiamata agli artisti in forma di festival, definisce Ermanna Montanari questa nuova visionaria avventura a cui ha voluto dar nome Enter. Conta la forma naturalmente, il festival inteso come concentrazione di energie artistiche diverse in un tempo e in uno spazio ristretti. E si sa quanto c’è bisogno di interrogarsi sull’attualità di questa «forma».
Ma forse conta di più, per l’attrice del Teatro delle Albe qui in veste di ideatrice e direttrice della manifestazione in corso per nove giorni a Ravenna, l’idea di chiamare (a raccolta, si sarebbe detto un tempo) un gruppo di artisti non indifferenziato, scelto con una precisa intenzione. Con un gesto semplice e netto. Come il cliccare su un pulsante cui sembra far riferimento il titolo scelto. Una richiesta di accesso a un mondo interiore dove si annidano le visioni «imperdonabili», è ancora Ermanna che parla, di chi ha scelto di stare ai margini delle mode correnti. Un’affinità di posizionamento, piuttosto che di poetica.

Diversi lo sono, questo sì, gli artisti presenti così come gli ambiti di provenienza dei partecipanti ai «parlamenti» che si sono mischiati alla sezione performativa. Scrittori filosofi illustratori, anche un teologo a confronto su temi come la bellezza o il narrare. Mentre sulla scena del teatro Rasi, che era poi in passato la chiesa monastica di Santa Chiara, la fisicità di un teatrante di terra vulcanica come Mimmo Borrelli, con la sua programmatica Napucalisse, lasciava il campo alla fluviale drammaturgia di Lucia Calamaro che nei tre atti de La vita ferma conduce dalle risate al pianto il proprio pensiero sul dolore che accompagna il ricordo dei morti.

Sleep technique di Dewey Dell conduce invece all’interno della celebre grotta Chauvet a Pont d’Arc, nel sud della Francia, capolavoro dell’arte rupestre del paleolitico. Centinaia di animali dipinti sulle pareti di quel che era forse un luogo sacro scavato per centinaia di metri nella profondità della roccia, a contorno di un viaggio iniziatico. Un percorso che lo spettacolo compie a ritroso, dall’ultima camera all’ingresso di cui sul fondo della scena si scorge la bassa apertura che comunica con l’esterno, l’unica da cui i quattro interpreti penetrano a turno.

È un rito anche quello inscenato dal gruppo guidato da Agata e Teodora Castellucci, con il fratello Demetrio nelle vesti abituali di artefice della fragorosa musica elettronica a cui si abbandonano i danzatori. In una sorta di trance controllata cui cede anche lo spettatore, soggiogato dalla pressione sonora. C’è in gioco un dichiarato tentativo di ritrovare in sé qualcosa di molto lontano nel tempo, qualcosa che metta in contatto con quegli uomini di trenta mila anni fa. Un’eredità biologica riflessa nel tremore di un gesto.
Enter si conclude ospitando, oggi e domani, la festa di «doppiozero», la rivista web diretta da Marco Belpoliti e Stefano Chiodi. Anche questa a suo modo una chiamata agli artisti, all’insegna degli «irregolari». La pittrice Margherita Manzelli, gli artisti Gianikian e Ricci Lucchi, il musicista Giovanni Lindo Ferretti, il filmmaker Paolo Gioli e altri ancora, a colloquio con uno studioso di riferimento. Una bella gara.