Silvio Berlusconi, ieri sera a Piazza Pulita, l’ha definito «Cgil Act». Come a dire che il nuovo dl Poletti, così come è stato modificato alla Camera (e approvato con la fiducia) sarebbe improntato su un irrigidimento del mercato del lavoro: contro la «liberalizzazione» auspicata invece da partiti come Ncd o appunto Forza Italia. «Ci sottovaluta, noi lo avremmo scritto un po’ meglio», replica la segretaria confederale della Cgil, Serena Sorrentino.

Dietro la battuta, c’è un punto che la Cgil ribadisce: «Il decreto Poletti, così com’è, aumenta la precarietà: noi al Senato chiederemo che venga corretto». Il sindacato sta anche valutando i termini di un possibile ricorso alla giustizia, sia in sede europea che italiana.

Sul decreto, che adesso è atteso al Senato, si è scatenata una guerra, con l’Ncd – in prima fila l’ex ministro Maurizio Sacconi – che chiede che ritorni alla forma originaria: 8 proroghe anziché 5, senza tetti massimi per i contratti a termine né formazione pubblica e percentuale di stabilizzazioni per gli apprendisti. Ma non è che la contrarietà di Sacconi e dell’Ncd significhi che l’attuale formulazione sia buona. Anzi.

«Noi di base siamo contrari all’intervento per decreto su un tema così delicato come i contratti – spiega dal canto suo la segretaria Cgil – E non comprendiamo due elementi, che rendono questa fretta illogica: 1) Se è vero che c’è l’urgenza di creare posti di lavoro, e su questo concordiamo, perché non si è intervenuti anche sul fronte della domanda, con politiche industriali e incentivi alle assunzioni? 2) Contemporaneamente viaggia in Parlamento, ma con tempi più lenti, il disegno di legge delega, quello che dovrebbe inserire il contratto a tutele crescenti: e quindi si interverrà di nuovo sui contratti a distanza di pochi mesi. Che certezze diamo alle imprese e ai lavoratori con questa schizofrenia?».

La Cgil non a caso ha chiesto qualche giorno fa di bloccare l’iter del dl Poletti, per poter trattare tutta la materia solo una volta, nel ddl delega, in modo strutturale e non sotto l’urgenza delle elezioni europee.

Ma visto che il governo non sembra disposto a questa sospensione, adesso il sindacato guidato da Susanna Camusso chiede correzioni in Senato: «Ci pare innanzitutto che le proroghe, oggi 5, siano ancora tante: per noi già una è sufficiente. Inoltre parlare tanto di proroghe rischia di essere un falso problema, se non si chiarisce cosa succede sui rinnovi: attualmente sono liberi, quindi potenzialmente infiniti».

La Cgil annuncia la possibilità di un ricorso alla giustizia – Ue e italiana – se il testo passasse così com’è: «L’attuale formulazione viola la legge 368 e l’accordo interconfederale sui contratti a termine, che alla base hanno la legislazione Ue».

La Cgil boccia infine la «mediazione» proposta ieri da Pietro Ichino (Sc), che chiede di affiancare al contratto a termine «versione Poletti» (quello appunto del decreto oggi in itinere al Parlamento) un altro contratto: ma a tempo indeterminato, con la possibilità per l’impresa di recedere entro il 36esimo mese, a fronte del pagamento di un piccolo risarcimento. E senza un giustificato motivo, né la tutela dell’articolo 18.

«Siamo alle solite, ora vogliamo aggiungere un ulteriore contratto – commenta la segretaria Cgil Sorrentino – L’ennesimo che si andrebbe a sommare ai 46 già esistenti. Noi l’abbiamo sempre detto: se si disbosca la giungla dei contratti e si resta a cinque forme base, si riesce benissimo a regolare il mercato del lavoro. Bastano il tempo indeterminato, il contratto a termine, il contratto di formazione lavoro, il part time e l’autonomo vero, cioè che non sia mascherato, ma regolato e con tutele».

La proposta di Pietro Ichino è piaciuta, invece, proprio a Sacconi. E lo stesso parlamentare di Scelta civica spiega che avrebbe «una larghissima convergenza di consensi non solo tra i partiti della maggioranza, compresa la sinistra Pd, ma anche da parte di Lega e Forza Italia».

Cosa propone esattamente Ichino? Un emendamento al «Poletti», dove si dice che «entro i primi 36 mesi di durata dei nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, quando sia stato superato il periodo di prova il datore può recedere dal rapporto senza necessità di motivazione, fermo l’obbligo del preavviso di cui all’articolo 2118 del codice civile, corrispondendo al prestatore un’indennità pari a due giorni di retribuzione per ciascun mese, o frazione di mese superiore alla metà, di durata del rapporto stesso. Nella durata del rapporto si computa anche la durata dei contratti a termine che abbiano preceduto il contratto a tempo indeterminato fra le stesse parti».