C’è anche la Cgil tra i sostenitori del referendum sul Fiscal compact e l’equilibrio di bilancio, anche se il sindacato guidato da Susanna Camusso non è entrato ufficialmente nel comitato che organizza la consultazione e la raccolta firme. Ma ci sono tanti sindacalisti, che hanno aderito a titolo personale, e tra loro c’è Danilo Barbi: è segretario confederale, parte quindi del piccolo esecutivo di otto persone che manovra il timone di Corso d’Italia. Barbi spiega che «è prassi per la Cgil non impegnare l’intera organizzazione su quesiti che non abbiano strettamente un argomento di lavoro. Ma questo non vuol dire – aggiunge subito dopo – che tanti di noi, quelli che ci credono e lo sostengono, non lavoreranno per la raccolta delle firme. Un esempio parla per tutti: il referendum sull’acqua, che ci vide molto attivi e partecipi».

Consultazione di grande successo, in effetti. Ma prima di chiederci se il referendum potrà riuscire o meno, siete certi che l’obiettivo delle 500 mila firme entro il 30 settembre sia realizzabile?

In effetti non è mai accaduto che si raccogliessero firme in luglio, agosto e settembre, mesi certo non facili. Però chiudere entro il 30 settembre era l’unico modo per poter far svolgere il referendum tra aprile e giugno 2015, altrimenti saremmo scivolati al 2016. Quindi sì: faremo iniziative, parteciperemo ai dibattiti, soprattutto metteremo su stand e tavolini per la raccolta. Sono prudente ma fiducioso. E d’altronde la primavera 2015 è il momento migliore per far cadere la nostra consultazione.

Sì? Per quale motivo?

Perché quello che si sta decidendo in questi giorni a Bruxelles, e che ha visto coinvolti il nostro premier Matteo Renzi, Angela Merkel, e gli altri governi, è sicuramente un primo modo di intervenire sui trattati europei, ma le decisioni vere e proprie sul Patto di stabilità – cioè se solo interpretarlo estensivamente o se invece modificarlo – arriveranno solo a partire dal 2015: quando cominceranno a lavorare sul serio la nuova Commissione e il nuovo Parlamento europeo. Oggi siamo ancora alle nomine.

Ma quello che ha ottenuto Renzi a Bruxelles non è già un primo passo? O vi sembra poco?

È insufficiente. La semplice «austerità flessibile» non va bene, ci vuole una vera politica espansiva. E un nuovo modello di sviluppo. Non nego che si stia modificando qualcosa, certo, ma tutto in una logica puramente emendativa di una politica che resta di austerità. A Merkel è riuscito un vero miracolo: lei ha creato l’«austerità espansiva», poi ne ha gestito il fallimento, e adesso lavora sulle modifiche. E la sinistra europea, agendo appunto solo in un’ottica emendativa e mai alternativa, ha favorito la recita di due parti in commedia, per la cancelliera e il Ppe.

Quindi per questo vi affidate a un referendum? Cioè pensate che Renzi e il Pd, nonostante le pressioni, in Europa più di tanto non possono fare?

Non è tanto questo, quanto piuttosto il fatto che vogliamo far entrare in campo il popolo. Mi spiego: le decisioni europee le prendono in genere la Commissione e il Consiglio, con i parlamenti messi spesso con le spalle al muro. Noi vogliamo forzare questo meccanismo, far parlare e decidere direttamente i cittadini. Riflettiamo su un elemento che mi pare centrale: sarebbe la prima volta che sulle politiche economiche europee si esprime senza mediazioni uno dei popoli fondatori e più importanti dell’euro. Lo trovo già di per sé un fatto democratico straordinario.

Ci sarà anche un effetto politico, se si andasse al voto?

Certamente, anche se è difficile prevedere quale. Faccio l’esempio della Grecia: il governo avrebbe voluto far votare i cittadini sull’accordo preso con la troika, ma non si è mai fatto perché hanno praticamente “dimissionato” Papandreu, mutando l’intero quadro politico greco.

Quindi su cosa si chiedono le firme, e poi in caso il voto?

Due quesiti parlano del recepimento del Fiscal compact, che come sappiamo chiede un vero e proprio svenamento all’Italia per rientrare dal debito. Altri due quesiti riguardano l’«obiettivo di medio termine», che fu concordato da Monti con la Commissione e di cui non si parla tanto in Italia: invece è un target ancora più stringente e depressivo perfino del Fiscal compact. Nonostante noi abbiamo un avanzo primario molto alto – 90 miliardi ante interessi – si pretende che lo aumentiamo in modo secco di altri 10. Vogliamo abrogare quattro parti della 243 del 2012, legge dura e recessiva che ha recepito l’obiettivo di «equilibrio di bilancio» inserito nella Costituzione.