Il sindacato davanti alla rivoluzione tecnologica digitale. Da una parte Industria 4.0 che cambia faccia alle fabbriche ridisegnate per prodotti personalizzati ideati da ingegneri-filosofi pagati non per la quantità di lavoro ma per i progetti che sfornano e passano a operai iperformati. Dall’altra il 10 per cento dei posti di lavoro che l’Ocse stima spariranno e il 30 per cento che cambieranno ma sono a rischio per le basse competenze richieste in una dicotomia sempre più evidente nel mondo del lavoro.
La Cgil si interroga su come tenere assieme i lavoratori e la risposta lanciata è la codeterminazione: contrattare in anticipo e dal basso le condizioni favorevoli all’innovazione senza lasciare indietro nessuno.
Il seminario di ieri mattina a Corso Italia ha visto un alternarsi fra pareri di sindacalisti, professori e esperienze sul campo: le multinazionali 3M e Sorin che dovevano licenziare e invece grazie alla formazione hanno cambiato le competenze dei lavoratori; gli esempi di Ima a Bologna e ex Pignone a Firenze che garantiscono l’innovazione finanziando la filiera dei fornitori e – infine – la contrattazione di territorio che nelle Marche ha permesso l’innovazione dei distretti e in Abruzzo quella della componentistica nell’automotive del Chietino.
I tre segretari confederali – e papabili (insieme a Serena Sorrentino) per la successione a Susanna Camusso – si sono divisi i compiti. Franco Martini nell’introduzione ha ricordato «i 1.600 accordi aziendali e i 150 territoriali sottoscritti dalla Cgil», proposto «la formazione, l’apertura al cambiamento con saperi ibridi per evitare la polarizzazione del lavoro» e annunciato «un progetto nazionale sul tema della partecipazione, un investimento formativo per i nostri dirigenti, un forte investimento nella sperimentazione per mantenere i diritti dei lavoratori in una co-determinazione diffusa», ha chiuso Martini.
Poi è toccato a Maurizio Landini sottolineare come «gli esempi virtuosi sono pochi e né il sindacato è pronto ad una contrattazione di questo tipo né le imprese sono per la partecipazione. Anzi, puntano al rapporto diretto con i lavoratori, con i team leader che hanno sostituito i delegati sindacali, e sulla contrattazione aziendale, non sulla co-determinazione. Noi dobbiamo invece rivendicarla, ma per farlo dobbiamo cambiare la nostra organizzazione puntando a rappresentare tutti i lavoratori», ha concluso Landini.
A tirare le fila della discussione è stato Vincenzo Colla: «La Cgil è sempre stata capace di gestire l’innovazione, da Di Vittorio in poi, quando i trattori entrarono nei campi. La tecnologia ha una velocità spiazzante e pone il tema della rappresentanza. C’è però un vuoto drammatico di pensiero, di politica e di sinistra che solo il protagonismo delle forze sociali iniziato con l’accordo con Confindustria e una legge sulla rappresentanza può colmare. Per garantire anche ai lavoratori della filiera un futuro dignitoso serve un sistema territoriale bilanciato per dare formazione grazie ad un istruzione pubblica orientata».