Il Salone del Gusto, edizione 2014, ha appena aperto in una Torino orfana di molte cose, innanzitutto di una sua identità che cerca, faticosamente, di recuperare in vari anfratti di difficile gestione. Il food potrebbe e qualcuno anche vorrebbe che fosse una di queste plausibili identità della capitale del nord ovest. Chissà.

Pochi giorni prima dell’apertura dei cancelli del Lingotto, una piccola ma significativa cosa ha fatto da preludio all’eventone. Proprio nel cuore cittadino, proprio di fronte al nuovo Cambio, il famoso ristorante di Cavour, in Piazza Carignano, sventolano i riconoscibilissimi «faccioni» di Oliviero Toscani. Fotografo simbolo di tante cose e quindi anche dei cambiamenti di questo paese, la sua collaborazione con Slow Food e con Terra Madre nella fattispecie, è del tutto naturale. «I volti sono paesaggi umani e ognuno di essi ha una particolare bellezza. Insieme possono rappresentare un grande atlante antropologico, una grande fabbrica sociale, un lucido ritratto del tempo.

Lo stesso vale per il cibo, che è espressione di libertà, diversità e umanità». Così recita la frase che fa da sfondo ai 58 scatti en plein air che trovano il loro focus sui prodotti dei presidi Slow Food e sui cibi salvati dal progetto Arca del Gusto che sarà il tema centrale del prossimo Salone. «È stata una collaborazione immediata dettata da interessi comuni – ci racconta Toscani – A me piace molto il rispetto per la qualità che caratterizza i progetti di Slow Food». Nella mostra ci sono due lavori paralleli, da una parte i ritratti in puro stile Toscani «realizzati in giro per il mondo, una ricerca che non mi stanca mai. Gli ingredienti, invece, me li hanno forniti loro.

La ricerca ci accomuna: per Slow Food riguarda i cibi e gli ingredienti genuini, la mia, attraverso i volti, cerca di captare l’unicità dell’essere umano». Troviamo le cipolle di Certaldo a fianco dei Pinoli di araucaria della Serra Catarinense in Brasile, i ceci neri della Murgia Carsica pugliese e la Cola di Kenema della Sierra Leone…e molti altri prodotti affiancati o, meglio, mischiati, con le facce vere di esseri umani di tutto il mondo. Cibo e umanità. Cibo umano. Umano mangiare. Non sono questi i concetti a portare il grande pubblico al Salone, quanto le mille occasioni di assaggio e la curiosità di incrociare, se fortunati, altri faccioni ben più conosciuti di quelli di Oliviero Toscani, fornelli televisivi che tanto conquistano l’immaginazione dell’italiano/a medio/a. Toscani è lontano mille miglia da tutto questo, anzi, è piuttosto scontroso sull’argomento «Sono per le cose semplici, primarie. Non amo il cibo super complicato, bio chimico.

Questi chef a due stelle, sette stelle, non mi interessano, sono solo cose di moda, mi fanno un po’ ridere, per la verità. Ma neppure le mode del bio, dello stra bio, sono tutte balle! Anche il km zero…ma cosa vuol dire? Io sono nato a Milano, il chilometro zero erano i ratti e gli scarafaggi!». A stimolarlo è invece una dimensione più profonda e al tempo stesso più semplice della questione «Credo che le cose realmente importanti sul cibo siano quelle che hanno una dimensione e un valore storico. Il cibo è una cerimonia giornaliera e in questo senso è necessario un grande rispetto. Quello che trovo intollerabile è lo spreco. Anche chi ci fa caso lo compie, spreca tantissimo. I nostri frigoriferi sono come delle bare. Bare piene di corpi morti».