Se l’improvvisazione è uno dei pilastri del jazz, la solo-performance rappresenta l’esaltazione di questa caratteristica mettendo a nudo il solista di fronte al suo pubblico. Non è, però, esibizione autoreferenziale perché l’artista è in continuo dialogo con sé stesso, la sua memoria, il suo inconscio, la sua “profondità verticale” e – in contemporanea – con gli spettatori con i quali interagisce.

La Casa del Jazz in ottobre ha dialogato con la capitolina festa del cinema (tre incontri intitolati “Il magico accordo: cinema e jazz”) e puntato i riflettori sulla solo-performance, invitando il polistrumentista Eugenio Colombo (19/10) ed il trombonista-compositore Giancarlo Schiaffini (26/10). Sono i primi di una serie di solisti ospiti, come ha precisato l’attuale direttore della struttura Luciano Linzi.

Eugenio Colombo

Colombo e Schiaffini sono uniti da lunghe e intrecciate esperienze comuni, di fondamentale importanza per il jazz italiano degli ultimi decenni: nel caso di Schiaffini si risale agli anni ’60 dell’incendiario Gruppo Romano Free Jazz (capitanato da Mario Schiano) e in quello del sassofonista al visionario quartetto di ance i Virtuosi di Cave (1977). L’esperienza della Italian Instabile Orchestra li ha visti insieme come il più recente progetto del gruppo Freexielanders. Entrambi compositori e valenti improvvisatori, hanno al loro attivo collaborazioni internazionali estese al mondo della musica contemporanea.

Diversi i rispettivi soli alla Casa del Jazz. Eugenio Colombo ha puntato molto sulla centralità del suono e dei suoni (ha utilizzato sax soprano ed alto – anche in simultanea – flauto ed un flauto indiano in legno), dipanando la performance come una pièce teatrale, parlando dei brani ed introducendo i suoni come personaggi, diversi ma complementari, della propria poliedrica dimensione d’artista. Si passa dalla potenza e dall’impatto dell’unione sonora tra soprano ed alto (che prevede una tecnica rara e difficile) al panorama etereo e onirico disegnato dagli armonici del flauto. Il musicista romano da sempre lavora all’estensione timbrico-espressiva degli strumenti e all’ampliamento dei linguaggi che assorbono dalla musica etnica e contemporanea, oltreché dal jazz. Il flauto, ad esempio, viene usato come uno strumento a percussione oppure trasformato in un semplice tubo metallico per produrre suoni. Sui sax si usano tecniche quali il “fiato continuo”, trasformando gli strumenti ben oltre lo stereotipo jazzistico. Nel solo affiorano invenzioni estemporanee, tracce di repertorio personale (Echi, Cadice), riferimenti ai maestri (Mingus e Rashaan Roland Kirk). Colombo ci porta in un viaggio interiore e reale che passa per la sua anima e viaggia nel mondo.

Giancarlo Schiaffini ha preferito presentare, in prima romana, la performance multimediale Pinocchio Parade (2015), in cui musica preregistrata (e live-electronics) si fonde con il trombone suonato in diretta; il tutto interagisce con il tessuto visivo delle opere d’arte digitali di Cristina Stifanic, trasformate in video da Ilaria Schiaffini. In una chiave fortemente iconico-sonora il trombonista ripercorre, così, liberamente il romanzo di Collodi, servendosi anche di voci e brevi scritte che costituiscono un po’ la trama di una suggestiva esibizione durata circa un’ora. Il solo, in questo caso, si svolge in modo stratificato: suoni registrati ed elaborati con il computer, suono del trombone dal vivo, la vicenda del burattino visualizzata, la presenza di testi scritti ed orali. Nel flusso continuo lo spettatore può fissare l’attenzione su uno o più aspetti della performance in cui la vicenda di Pinocchio diventa un’opera d’arte che può essere concerto, allestimento multimediale, cinema.