Dopo 24 ore di silenzio nelle quali hanno parlato solo le associazioni pro life, arriva anche la dichiarazione della Presidenza della Cei, quindi di Bagnasco, sulla sentenza della Corte sulla fecondazione eterologa. I toni sono più morbidi del passato – effetto papa Francesco? –, non la sostanza.

La decisione della Corte, verso cui «si conferma il necessario rispetto, entra nel merito di una delicata esperienza», ovvero il desiderio «profondo ed indiscutibile» di avere un figlio, afferma la Nota. Ci sono però alcuni nodi «che suscitano dubbi e preoccupazioni sotto il profilo antropologico e culturale». Affermare un generico «diritto al figlio o alla genitorialità» rischia di «identificare il piano dei desideri con il piano dei diritti, sottacendo che il figlio è una persona da accogliere e non l’oggetto di una pretesa». Inoltre «si trascura il diritto del figlio a conoscere la propria origine biologica» – questo però, la Cei lo dimentica o lo ignora, vale anche per i neonati adottati la cui madre naturale ha chiesto l’anonimato – e «si snatura il concetto e l’esperienza di paternità e maternità». Infine «si determina un pericoloso vuoto normativo» in cui è «legittimata ogni tecnica di riproduzione» e «il dominio della tecnoscienza».