Dare un governo al Paese. È l’imperativo dei vescovi alle forze politiche dopo le elezioni del 4 marzo.

«I partiti oggi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di governare e orientare la società», ha detto ieri il cardinal Bassetti, presidente della Cei, nelle conclusioni del Consiglio episcopale permanente (19-21 marzo), introducendo così una novità di metodo: non più la prolusione solitaria del presidente che dettava linea ai vescovi ad inizio lavori, ma una conclusione che sintetizza gli interventi emersi in assemblea. «Il Parlamento – ha proseguito Bassetti – deve esprimere una maggioranza che interpreti non soltanto le ambizioni delle forze politiche, ma i bisogni fondamentali della gente, a partire da quanti sono più in difficoltà. Si governi, fino a dove si può, con la pazienza ostinata e sagace del contadino, nell’interesse del bene comune».

Un governo a tutti i costi quindi, o quasi. Senza preclusioni nei confronti di nessun partito, o quasi, perché alcuni paletti i vescovi li piantano.

Rispetto alla «inadeguatezza della politica tradizionale», ha sottolineato il cardinale, «ha avuto buon gioco una nuova forma di protagonismo e di consenso dal basso, attivo e diffuso, anche se non è ancora prova di autentica partecipazione democratica». Chiaro il riferimento al Movimento 5 Stelle, con cui è in corso un reciproco avvicinamento: da parte della Cei, sempre attenta ai rapporti di forza parlamentari; e da parte del Movimento (vedi la presenza del capo politico nonché premier in pectore dei pentastellati, Di Maio, nello scorso settembre, nel duomo di Napoli, per baciare l’ampolla con il sangue di San Gennaro dalle mani del cardinal Sepe).

Tuttavia «non ci sono facili soluzioni con cui uscire dalla notte invernale». Non porta da nessuna parte la populistica «scorciatoia di promesse di beni materiali da assicurare a tutti», ha ammonito Bassetti. La soluzione non è nemmeno un governo di minoranza, alla «ricerca di volta in volta di un accordo sul singolo problema». È necessario invece un governo vero, sorretto da «una visione ampia, grande, condivisa; un progetto-Paese che, dalla risposta al bisogno immediato, consenta di elevarsi al piano di una cultura solidale».

I primi punti all’ordine del giorno che il nuovo esecutivo dovrà affrontare: la disoccupazione, soprattutto quella giovanile; la povertà e l’impoverimento delle famiglie; i migranti. «L’inverno si esprime nella paura del diverso – ha puntualizzato il presidente della Cei, prendendo così le distanze dalla destra leghista e fascista -: una paura che spesso trova nell’immigrato il suo capro espiatorio» e che «è spesso indice di insicurezze e chiusure su cui rischia di attecchire una forma di involuzione del principio di nazionalità» (una critica alla mancata approvazione dello Ius soli?). La stella polare è la Costituzione, «con i suoi valori di lavoro, famiglia, giustizia, solidarietà, rispetto, educazione, merito. Con il valore essenziale della pace, senza la quale tutto è perduto».