«Questo passaggio non va interpretato come l’adozione planetaria di valori, finalità od obiettivi occidentali, bensì come l’ingresso nella condizione postnazionale in cui l’Occidente è già passato in virtù della sua esperienza storica di esplorazione, colonizzazione, imperializzazione e capitalizzazione sia di se stesso sia del resto del mondo. In altre parole, nella nostra era l’Occidente è entrato in una fase in cui, a causa della globalizzazione, è così permeato di elementi di altre culture che ha perso la maggior parte di quegli aspetti che lo avevano storicamente definito». Così lo storico americano Hayden White coglie e sintetizza le tesi esposte da Giacomo Marramao in Passaggio a Occidente che, tradotto da Verso nel 2012 – The Passage West. Philosophy after the Age of the Nation State, postfazione di Antonio Negri – ha dato vita a un vivace dibattito statunitense. Quelle voci sono ora raccolte nel volume a cura di Stefano Franchi e Manuela Marchesini Filosofia dei mondi globali. Conversazioni con Giacomo Marramao (Bollati Boringhieri, pp. 184, euro 17).

Se la questione del presente e la sua concettualizzazione, è compito eminentemente filosofico, questo significa, dopo il tramonto dell’ordine leviatanico e all’interno di una architettura posthobbesiana, pensare e immaginare uno stile filosofico all’altezza della grande trasformazione nella quale siamo immersi, e quindi ripensare i poteri e i soggetti, le ragioni e le istituzioni, gli spazi e i tempi, a partire dalla differenza come inidentificabilità dell’essere, al di là di quella ossessione identitaria che, dopo la disgregazione della Respublica Christiana, attraverso la reductio ad unum dell’ordine sovrano, ha fatto la storia della nostra modernità secolarizzata. Quello che si prospetta politicamente è, quindi, un ordine conflittuale senza sovranità piantato in mezzo a quelle potestates indirectae tornate alla ribalta con la fine dello Stato moderno, e filosoficamente una ontologia postmetafisica dove risuonano echi machiavelliani. Una ontologia e una politica, insomma, costruite intorno alla differenza e a partire dalla critica di qualsiasi nozione sostanzialistica del sé e dalla rivendicazione della dinamica strutturalmente relazionale e dinamico-processuale di ogni identità.

Ognuno di noi, sottolinea Marramao, è una cavità teatrale nella quale risuonano i molti sé di cui siamo fatti, senza che questa pluralità significhi un depotenziamento dell’attitudine critica del soggetto, come sembra invece suggerire nel suo intervento Martin Jay in una prospettiva probabilmente ancora troppo legata all’ossessione dialettica. Lo storico americano coglie nel segno invece quando riconduce la metafora teatrale direttamente all’arte povera italiana degli anni Sessanta, sottolineando così l’importanza delle pratiche artistiche nel percorso filosofico di Marramao. E questo sé multiplo non può che affidarsi alla narrazione e alla retorica con prova piuttosto che alla inadeguata ragione comunicativa habermasiana, dribblando così quella ossessione identitaria tipicamente moderna che oggi torna nelle versioni neoliberali e neocomunitarie.

In questa chiave non si può non sottolineare la questione decisiva del tempo e della crisi del futuro che chiama a un indispensabile reincantamento della politica, e qui però ci sembrano giuste le critiche di Antonio Negri richiamate da Alberto Moreiras su una certa difficoltà a individuare il soggetto reale della trasformazione, tanto più che basterebbe tornare al già citato Machiavelli e alla sua lezione sul tumulto dei Ciompi con il suo esito determinante per le istituzioni politiche del tempo.

Molte sono, infine, le osservazioni critiche in chiave post- e de- colonial sulla proposta filosofica e politica fondamentale di Marramao, quella di un universalismo della differenza come sintesi disgiuntiva. Critiche che si nutrono di una discussione intensa che in queste righe non può trovare adeguato spazio, ma che testimonia di un dialogo atlantico che a sua volta conferma un momento italiano del dibattito filosofico internazionale, in questo caso a partire da uno dei percorsi più originali e produttivi dell’italian thought.