A 200 anni dalla sua prima assoluta e a 176 anni dalla sua ultima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano torna La gazza ladra di Gioachino Rossini, «melodramma» tragicomico in due atti, di cui Stendhal registrò in diretta il successo senza pari. Il soggetto, d’origine francese, presuppone il pensiero illuminista, libertario e antitotalitario che si respirava nella Milano dei Verri e di Beccaria: ricordo che solo due anni prima Rossini compose l’«Inno dell’indipendenza» festeggiando il proclama di Rimini con cui Murat invitava gli italiani a insorgere contro gli Austriaci.Il direttore Riccardo Chailly spiega così la decisione di mandare in scena l’edizione integrale dell’opera, compresi i recitativi: «È una delle più grandi cattedrali di Rossini. Ho studiato le prassi esecutive del passato per vedere cosa tagliare; ma era un autolesionismo, un atto di sfiducia. È un raro caso in cui Rossini non fa autoprestiti dalle sue opere precedenti».

Dal podio dirige sottolineando nella partitura i segni di una evidente implosione del genere comico attraverso la contaminazione col tragico: dopo la Gazza fatta eccezione per Adina, Il viaggio a Reims e Le comte Ory, Rossini realizza di seguito 16 opere serie. Il risultato è un’esecuzione austera, malinconica, accigliata, che mette al centro la violenza bizzosa e implacabile, sebbene poi sconfitta, di un potere ingiusto, ricordandoci che il Podestà, pur col suo lato grottesco, fa parte di una genealogia che ai vecchi pretenziosi e libidinosi dell’opera buffa napoletana accosta la mozartiana regina della Notte e, alla fine del secolo, il pucciniano Scarpia.

La regia  di Gabriele Salvatores, le scene e i costumi di Gian Maurizio Fercioni, le luci di Marco Filibeck, le coreografie di Emanuela Tagliavia e le marionette di Carlo Colla e Figli mirano a non «imporre una visione staccata dalla musica, che ha l’importanza principale. La gazza impersona l’elemento irrazionale del destino; è lei il vero regista. La gazza crea svolte drammaturgiche. Sarà impersonata da un’acrobata, che occuperà il palco anche in verticale: Francesca Alberti».

Il risultato è garbato e funzionale: risolve i punti drammaturgicamente più aggrovigliati senza però imprimere nello spettatore la sensazione che ci sia un’idea forte, frutto di una lettura profonda, che tiene insieme le parti in un tutto. Il cast di canto raccoglie le migliori voci della nuova generazione rossiniana: Rosa Feola come Ninetta, Edgardo Rocha come Giannetto, Paolo Bordogna come Fabrizio Vingradito, Alex Esposito come Fernando Villabella, Serena Malfi come Pippo e Teresa Iervolino come Lucia, insieme al Gottardo già stagionato di Michele Pertusi. Sono tutti ben calati nel ruolo, generosi vocalmente, ciascuno secondo le sue possibilità, e scenicamente: uniti in quella che in altri tempi si sarebbe chiamata una compagnia di canto.

Ingiustificati i fischi di pochi loggionisti, adepti del partito preso e cultori di un passato che talvolta esiste solo nella loro faziosa immaginazione.