La genesi di questo libro è da ricercare nel decennio scorso, negli anni che precedono e che seguono la crisi che i burattini che tirano le fila dell’economia mondiale temevano, ma esorcizzavano affermando che tutto andava bene e che non c’erano alternative a questo rapporto sociale.
Nel 2007, tuttavia, esplode fragorosamente la bolla immobiliare, portando sull’orlo dell’abisso proprio il capitalismo. L’esito è il bailout di banche, imprese finanziarie e società di consulenza che hanno dettato l’agenda politica dell’Europa, degli Stati Uniti e di molti paesi latinoamericani, asiatici e africani. Le prime misure politiche statunitensi e europee riguardano proprio le banche e le imprese finanziarie. Sono troppo grandi per lasciare che il loro fallimento faccia il suo corso, perché le conseguenze sarebbero disastrose. Passano due anni e un’altra crisi irrompe sulla scena. È quella del debito accumulato dagli stati nazionali verso le banche, il fondo monetario internazionale. Quello del «debito sovrano» è un’altra scossa tellurica. Alcuni paesi dichiarano forfait.

I dogmi dell’austerity

Sono, scriverebbero Immanuel Wallerstein e Giovanni Arrighi, paesi periferici – l’Islanda – o marginali nell’economia europea – la Grecia. Anche in questo caso, le misure puntano a consolidare il debito, perché il loro fallimento potrebbe determinare un effetto domino che tutti temono come la peste. L’Unione europea impone misure draconiane di austerità: tutte le risorse devono essere finalizzate non al rilancio dello sviluppo economico, bensì al pagamento dei debiti contratta da governi nel corso degli anni. È questo il contesto dentro il quale collocare la raccolta di scritti di Christian Marazzi (Diario della crisi infinita, pp. 190, euro 17), dove l’economista svizzero annota puntualmente il dispiegarsi della crisi, forte della convinzione che l’incapacità degli economisti di prevederla non sia da imputare ai difetti dei modelli analitici bensì al deficit di critica dell’economia politica che caratterizza la «triste scienza».

I materiali che compongono il libro sono interviste o scritti pubblicati da riviste, dalla Radiotelevisione svizzera, da questo giornale o da siti «di movimento» (uninomade, commonware e effimera). Sono testi «sofferti», mossi dalla convinzione che gran parte della cassetta degli attrezzi del pensiero critico si stavano rivelando insufficienti per comprendere la crisi o per indicare possibili alternative a un capitalismo dove produzione, finanza e consumo fossero altrettanti fili di una matassa difficile da sbrogliare. Nel tentativo di dipanarla, Marazzi concentra la sua attenzione su alcuni aspetti che hanno tenuto banco dal 2007. In primo luogo, le politiche di austerità dell’Unione europea, che più che risolvere il problema accentuano le disuguaglianze sociali, la precarietà nei rapporti di lavoro, la cancellazione o il radicale ridimensionamento del Welfare State. Su questo versante, l’economista svizzero compie un doppio movimento: l’euro non è solo come una moneta, ma anche un dispositivo politico teso a definire gerarchie e una sorta di divisione continentale del lavoro dai quali è impossibile prescindere.

Il suo però non è un «europeismo» di maniera che fa spesso chiudere gli occhi sulla realtà. Scrive più volte contro l’austerity dell’Unione europea e pone il problema se vale la pena rimanere nell’euro visto che dalla troika vengono continuamente confermate le politiche neoliberiste senza che si manifesti un minimo cambiamento di rotta di Bruxelles. Marazzi non nasconde neppure il suo scetticismo nei confronti delle prese di posizione «sovraniste» che si sono manifestate «a sinistra». Non è dunque assegnando centralità allo stato-nazione che si può contrastare l’austerity e sviluppare una resistenza al feroce liberismo della troika.

L’alternativa è dunque da cercare altrove da Bruxelles o dalla Eurotower di Francoforte. Va infatti cercata nei movimenti sociali che, in tutti questi anni, hanno scandito la risposta politica alla crisi del capitalismo. Nel diario di Marazzi sono protagonisti tutti i movimenti sociali che, nell’ultimo decennio, hanno occupato le piazze e le strade europee, perché, come scrive più volte l’autore, la posta in gioco è la riappropriazione della ricchezza che è finita nelle casse delle imprese in oltre trenta anni di neoliberismo. Questo può avvenire solo in una auspicabile prospettiva continentale dei movimenti sociali.

Il secondo campo di analisi è, appunto, la crescente integrazione tra finanza e produzione. Su questo Marazzi è consapevole che, nella riflessione marxiana, la finanza ha un ruolo «parassitario»: la sua tesi è che la finanza è diventata nel tempo uno dei pilastri dell’economia capitalista, al punto che svolge un ruolo «politico» di coordinamento e di gestione dell’economia capitalistica. Significativi sono i riferimenti a quella che viene chiamata «privatizzazione del welfare state», che non significa solo la messa sul mercato di alcuni diritti sociali – la sanità, la formazione, la pensione, la casa -, ma che i singoli accedono al credito per acquistarli: anche qui la finanza svolge un ruolo fondamentale per accedere proprio a quei beni e servizi fondamentali. Forte la sintonia con la riflessione di Maurizio Lazzarato sulla Fabbrica dell’uomo indebitato. Tutto ciò non porta a dire che la produzione e il consumo svolgono ormai un ruolo «marginale», bensì che la totalità marxiana dei rapporti sociali capitalistici è la tendenza divenuta realtà.

Nell’era della governance

Non c’è mai, nelle duecento pagine del libro, un’affermazione apodittica; mai un esercizio settario di difesa di un punto di vista definito apriori. Il libro di Marazzi è un «diario» che non rinuncia ad alcune convizioni, ma le mette sempre in relazione a quanto la realtà manifesta. Il dubbio è, infatti, una costante di queste pagine.

Ciò non significa che non ci sia una tesi forte al centro del libro che può essere così riassunta: la crisi è un fenomeno non legato alla contingenza, ma è una caratteristica ormai strutturale del capitalismo contemporaneo. E quello che la pubblicistica chiama «centralità della governance» nella gestione della crisi, altro non è che le scelte e le politiche economiche, in Europa e non solo, sono finalizzate a gestire la crisi dovuta sia al funzionamento interno del sistema capitalistico, ma anche a quell’azione di chi prova a contrastare l’appropriazione privata di una ricchezza prodotta collettivamente.

La preziosa indicazione di Marazzi è che anche le politiche di gestione della crisi sono ormai in crisi. Da qui l’enorme possibilità di trasformare radicalmente i rapporti sociali di produzione capitalistici. La critica dell’economia politica è dunque critica immediatamente politica. E fa di questo libro un prezioso esempio di una cassetta degli attrezzi per comprendere, e trasformare, la realtà.