Nuovo colpo di scena nell’infinita vicenda giudiziaria dell’Ilva di Taranto. Nella giornata di ieri infatti, i giudici della VI sezione penale della Cassazione, dopo una breve Camera di consiglio, hanno annullato definitivamente senza rinvio il sequestro di 8,1 miliardi di euro nei confronti della Riva Fire (Finanziaria Industriale Riva Emilio) la holding che controlla l’Ilva Spa, e che si estese lo scorso settembre anche all’altra controllata Riva Acciaio Spa.

I giudici hanno accolto il ricorso presentato dai legali dei Riva, Coppi e Paliero, disponendo la restituzione alle holding di tutti i beni, annullando anche i successivi decreti giudiziari conseguenti al sequestro. E cancellando l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Taranto, che a giugno scorso aveva respinto l’istanza degli avvocati, confermando il sequestro preventivo disposto dal gip Patrizia Todisco il 24 maggio scorso. Il quale aveva disposto il provvedimento dopo aver accolto la richiesta del pool di inquirenti guidato dal procuratore capo Franco Sebastio, che avevano chiesto il sequestro di denaro, conti correnti, quote societarie nella disponibilità della società Riva Fire in ottemperanza a quanto previsto dalla legge 231/01 che sancisce la responsabilità giuridica delle imprese per i reati commessi dai propri dirigenti.

Alla somma di 8 miliardi e 100 milioni di euro si giunse sulla base della quantificazione elaborata dai custodi giudiziari degli impianti dell’area a caldo del siderurgico, per una cifra equivalente alle somme che nel corso degli anni la dirigenza avrebbe risparmiato non adeguando alle norme ambientali né mettendo in sicurezza gli impianti del siderurgico tarantino. Di quegli 8 miliardi però, i militari della Guardia di Finanza trovarono appena 246mila euro nella casse oramai svuotate della holding: 212mila euro in quelle della Riva Fire ed altri 44mila euro nella società Riva Forni elettrici (ad oggi si era arrivati a 2 miliardi soltanto grazie al sequestro di beni mobili e immobili). Risorse che per il decreto del 4 giugno scorso, con il quale il governo Letta commissariò l’azienda affidandola alla gestione di Enrico Bondi, «sono messe a disposizione del commissario e vincolate» alle operazioni di «esecuzione degli obblighi di attuazione delle prescrizioni dell’Aia e di messa in sicurezza, risanamento e bonifica ambientale». Ma il gip Todisco, sulla scorta della relazione consegnata dai custodi giudiziari lo scorso 7 ottobre a seguito di un periodo di tre mesi (giugno-settembre) di accertamenti e sopralluoghi, lo scorso 6 novembre rigettò l’istanza presentata dallo stesso Bondi per entrare in possesso di quelle somme, in quanto l’Ilva «è ancora in ritardo sul piano industriale e non ha ancora posto rimedio ai gravi problemi ambientali che hanno determinato il commissariamento dell’azienda da parte del governo».

La decisione della Cassazione rischia di incidere non poco anche sul programma di risanamento previsto dal piano ambientale messo a punto dagli esperti del ministero dell’Ambiente, che attende l’ok per decreto dal ministro Orlando. E soprattutto mette a rischio la concreta attuazione dell’ultimo decreto approvato dal governo (“Disposizioni urgenti per la tutela dell’ambiente, del lavoro e per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”) sull’Ilva. Il testo prevede infatti che dopo l’approvazione del piano ambientale che avverrà entro il 28 febbraio prossimo, «il titolare dell’impresa o il socio di maggioranza», quindi i Riva, dovranno entro 15 giorni mettere a disposizione del commissario Bondi le somme necessarie al risanamento. Ma prevedendo forse ciò che è accaduto ieri, nel decreto fu aggiunto che qualora questo non fosse accaduto, si dovranno trasferire al commissario le somme sequestrate al gruppo per reati diversi da quello ambientale. Come ad esempio quello di frode fiscale, sul quale indaga la procura di Milano, che ha sin qui sequestrato 2 miliardi di euro ai Riva. Anche in questo caso però è molto facile immaginare una nuova vittoria del gruppo che ha già annunciato l’ennesimo ricorso avverso il provvedimento del governo.

È indubbio che quella di ieri è una vittoria dei Riva. Che potrebbe scrivere però la parola fine sulla storia dell’Ilva di Taranto.