Non commette reato il migrante che oppone resistenza a un pubblico ufficiale quando «soccorso in alto mare e facendo valere il diritto al non respingimento verso un luogo non sicuro si opponga alla riconsegna allo stato libico». Lo ha stabilito la Corte di Cassazione.

La vicenda giudiziaria riguarda due naufraghi che nel luglio 2018, dopo essere stati soccorsi dal rimorchiatore Von Thalassa nel canale di Sicilia, erano riusciti a convincere il comandante e l’equipaggio a non ricondurli in Libia per essere riconsegnati alla cosiddetta guardia costiera libica, ma a navigare invece verso la Sicilia. A quel tempo al ministero dell’interno c’era Salvini che definì i due naufraghi «dirottatori» e al ministero dei trasporti Toninelli secondo il quale erano dei «farabutti da punire» (in una delle sue famose gaffe, il ministro 5 Stelle confuse anche il rimorchiatore con un incrociatore da guerra).

Il clima politico era questo, quando i due giovani stranieri vennero indagati e però prosciolti dal giudice per le indagini preliminari di Trapani secondo il quale, ricordano gli avvocati Fabio Lanfranca e Serena Romano, «la condotta era scriminata dalla legittima difesa, poiché i due giovani fuggiti dall’inferno libico, avevano agito al fine di salvare se stessi e gli altri naufraghi dal rischio di patire nuove, gravissime lesioni dei diritti alla vita, alla integrità fisica e sessuale, a tutela della loro prerogativa di essere portati in un place of safety e ottenere protezione internazionale».

Successivamente, però, la Corte d’appello di Palermo aveva riformato l’assoluzione e condannato i profughi a tre anni e sei mesi di carcere, oltre a 52mila euro di multa. I giudici di secondo grado avevano ritenuto «ideologica» la sentenza di primo grado perché le problematiche sulla sicurezza dei porti di approdo «devono trovare adeguata soluzione nell’unica sede a ciò deputata, ossia quella politica del confronto interstatuale».

Ma la Corte di Cassazione ha evidentemente – in attesa di leggere le motivazioni – ribaltato questa convinzione. Riaffermando, secondo l’interpretazione degli avvocati Lanfranca e Romano, che «il rispetto dei diritti umani è un tema sottratto alle autorità statali, che trova fondamento nelle norme di diritto internazionale a tutela della vita e della integrità della persona».

Lo si capisce dai riferimenti normativi che vengono citati nella decisione della Cassazione, che vanno dalla sentenza della Corte europea sui diritti dell’uomo nel caso Hirsi Jamaa (che nel 2012 ha condannato il nostro paese) alle convenzioni delle Nazioni unite e internazionali firmate ad Amburgo e a Londra.

La sentenza della Cassazione sul diritto al non respingimento è destinata a fare giurisprudenza e dunque ad aprire la strada a numerosi ricorsi. Almeno in tutti quei casi in cui lo stato italiano, servendosi delle forze dell’ordine e dei militari, ha esercitato e continua ad esercitare il rimpatrio forzato verso la Libia dei naufraghi soccorsi nel Mediterraneo.