Non doveva essere arrestato né finire ai domiciliari, e non c’erano neppure gli estremi per sottoporlo ad altre misure cautelari. Il sindaco di Bibbiano, il dem Andrea Carletti, pur avendo ricevuto ieri insieme ad altri 25 indagati l’avviso di conclusione delle indagini nell’ambito dell’inchiesta «Angeli e Demoni» sugli affidi illeciti in Val d’Enza, non avrebbe dovuto subire l’obbligo di dimora impostogli nel bel mezzo di una campagna di fango mediatico e social imbastita da forze politiche che di sicuro ora non gli chiederanno scusa. A dirlo chiaramente è la Cassazione che ieri ha motivato il verdetto con il quale il 3 dicembre scorso ha annullato le misure restrittive, non riscontrando il rischio di fuga, né quello di inquinamento delle prove e neppure la possibilità di reiterare il reato (elementi necessari per le misure coercitive in questa fase), se non in virtù di ipotesi di «natura meramente congetturale».

La Suprema Corte infatti ha trovato contraddittorie le decisioni dei giudici di merito che, pur rilevando «l’inesistenza di concreti comportamenti» a rischio da parte di Carletti, hanno imposto le restrizioni. In particolare, il 20 settembre scorso il tribunale del Riesame di Bologna aveva trasformato i domiciliari del sindaco dem in obbligo di dimora formulando, secondo la Cassazione, «una prognosi incentrata sul probabile accadimento di una situazione di paventata compromissione delle esigenze di giustizia».

In sostanza, «pur ammettendo l’inesistenza di concreti comportamenti posti in essere dall’indagato, ne ha contraddittoriamente ravvisato una possibile influenza sulle persone a lui vicine nell’ambito politico amministrativo per poi inferirne, astrattamente e in assenza di specifici elementi di collegamento storico-fattuale con la fase procedimentale in atto, il pericolo di possibili ripercussioni sulle indagini» che erano invece «ormai da tempo avviate».

La notizia, come al solito, ha suscitato reazioni opposte e decisamente sopra le righe, ma in perfetta sintonia con la tipica strumentalizzazione pre elettorale. «Non si scherza con i bambini. Lì veramente hanno sequestrato, io ci vado in galera ma prima voglio vedere quelli in galera», si agita Matteo Salvini proprio mentre al Senato la giunta per l’immunità sta decidendo se concedere l’autorizzazione a processarlo sullo stop alla nave Gregoretti. Non a caso Bibbiano sarà tra le ultime tappe del tour elettorale del leader del Carroccio, con un comizio fissato per il 23 gennaio. Di contro, Matteo Renzi prende la palla al balzo e twitta: «La Cassazione spiega che l’arresto del sindaco di Bibbiano era infondato. Ci sarà oggi qualche coraggioso grillino o leghista pronto a scusarsi per lo squallido sciacallaggio?».

La risposta è ovvia e anzi c’è da attendersi un aumento dell’attenzione mediatica sui particolari dell’inchiesta concluda ieri dalla procura di Reggio Emilia con 26 persone a rischio di processo. Agli indagati, esclusi a quattro la cui posizione è stata stralciata, fa sapere una nota del procuratore capo Marco Mescolini, sono stati contestati a vario titolo 108 capi d’imputazione, più dei 102 iniziali. Tra venti giorni il pm titolare delle indagini deciderà se chiedere i rinvio a giudizio.