Doveva essere una sentenza lampo. I giudici della III sezione della Corte di Cassazione non dovevano rendere definitiva la condanna per frode fiscale a carico di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, ma solo il riconteggio delle pene accessorie. In concreto il periodo di interdizione dai pubblici uffici, che il pg Aldo Policastro chiedeva che venisse fissata in due anni. E così sarà.

Ma i giudici restano in camera di consiglio per cinque ore. Segno evidente che qualcosa li ha spiazzati. Quasi certamente la sorpresa preparata dagli avvocati della difesa Ghedini e Coppi che chiedono, come previsto, il rinvio degli atti alla Corte costituzionale oppure l’annullamento e la ripetizione del processo d’appello ma, a sorpresa, aggiungono una terza richiesta. Si tratta del rinvio degli atti alla Corte europea di Strasburgo sulla base di una sentenza recente, quella con cui il 4 marzo scorso Strasburgo ha stabilito la violazione dei diritti umani degli imputati Luigi Gabetti e Franzo Grande Stevens nell’ambito del processo Ifil-Exor.

La Corte di Strasburgo ha infatti affermato che non si possono cumulare due sentenze entrambe afflittive, nel caso di Berlusconi, secondo la tesi della difesa, gli effetti della legge Severino e quelli delle pene accessorie. La giustizia italiana ha sempre sostenuto che il principio del ne bis in idem, in base al quale non si può essere processati due volte per lo stesso reato, in questo caso non è valido perché la legge Severino ha effetti amministrativi e non afflittivi. Il precedente della sentenza Grande Stevens, secondo gli avvocati, potrebbe però smentirli. Che la mossa fosse inattesa lo conferma lo stesso pg Policastro che non esita ad ammetterlo: «Si tratta di una nuova questione. Avrei preferito averla prima per consentirmi una piena interlocuzione».

E’ evidente che la «nuova questione» ha creato problemi anche alla Corte, che però conferma appunto i due anni di interdizione e condanna Berlusconi a pagare le spese processuali. Se avesse invece recepito le tesi della difesa rinviando gli atti a Strasburgo, la sentenza definitiva sarebbe stata ancora una volta sospesa in attesa delle indicazioni europee. E a quel punto per Berlusconi insistere sulla candidatura alle prossime elezioni europee sarebbe stato infinitamente più facile. Perché, nonostante la Severino, avrebbe avuto gioco facile nel sostenere l’inapplicabilità di una decisione valida solo per l’Italia in una competizione elettorale europea. Se non altro, la grancassa propagandistica sarebbe divenuta assordante.

Alla luce della mossa della difesa, si comprende comunque meglio perché il condannato abbia preso tanto male l’iniziativa autonoma di Daniela Santanchè, la raccolta di firme per la grazia. Non è su quel piano che Berlusconi vuole giocarsi la partita. La campagna di Daniela l’Impetuosa non è dispiaciuta solo a uno dei diretti interessati. Anche l’altro, il capo dello Stato che dovrebbe concedere la grazia, non ha certo apprezzato il tentativo di pressione, e ieri ha affidato il suo disappunto a una nota che tra le righe è molto severa: «Vengono i questi giorni liberamente sollevate nel dibattito pubblico varie questioni sulle quali peraltro ogni decisione spetta costituzionalmente, com’è noto, al presidente della Repubblica». Vuol dire che il Colle non terrà in nessun conto alcun tentativo di spingerlo in una direzione o nell’altra per quanto fragorosi possano essere gli strumenti adoperati. Ma Napolitano non si riferisce solo alla grazia. Quando, una riga dopo, parla di «previsioni che impegnano semplicemente coloro che le esprimono», allude anche alle voci sulle sue (presunte) imminenti dimissioni.