Milano ha ricordato Rossana Rossanda nella sua Casa della Cultura, in quella stanza al piano interrato di via Borgogna 3 che Rossanda ha contribuito a plasmare e proiettare in una dimensione politico-culturale internazionale. Aveva solo 27 anni nel 1951 quando venne chiamata a dirigere la Casa della Cultura in una fase complicata, di fratture e divisioni interne al mondo intellettuale comunista e socialista milanese.

SONO STATE tre ore intense, di ricordi, riflessioni, aneddoti e una proposta finale: continuare questo dialogo. Lo esplicita chiaramente il presidente della Casa della Cultura Salvatore Veca al termine dell’incontro: «La Casa della Cultura dovrebbe dedicare a Rossana Rossanda un seminario permanente in modo che questo dialogo possa proseguire davvero. Come diceva lei: per fare, intervenire, sviluppare, un pensiero che dia luogo a una prospettiva d’azione sul mondo».

Chiamati a ricordare Rossana Rossanda Massimo Cacciari, Lidia Campagnano, Ferruccio Capelli, Luciana Castellina, Lea Melandri, Aldo Tortorella, Silvia Vegetti Finzi, Irene Zappalà. In apertura una video-intervista a Rossanda girata dal regista Marco Manzoni il 27 gennaio 2006, nei giorni dedicati alla memoria. Che significato ha la memoria, chiede. «Senza la memoria non avremmo cognizione del presente» dice Rossanda.

Dietro di lei alla finestra appare un paesaggio imbiancato dalla nave che fuori scende copiosa. «Senza il prima non si può capire l’oggi. La memoria è qualcosa di vivente, continua a muoversi dentro di noi e per la mia generazione la memoria vuol dire ricordarsi che quello che è successo può succedere ancora».

SILVIA VEGETTI FINZI introduce gli interventi, ricorda la figura di «donna straordinaria capace di cogliere spirito del tempo». Con una caratteristica in particolare, dice Finzi: «Nei suoi interventi di quegli anni coglievo lo stile, il tono di quella direzione femminile così diversa, autorevole e mai autoritaria». È un tratto della personalità di Rossanda che torna anche in altri interventi. L’importanza storica dell’intervento di Rossana Rossanda in quella Milano e in quella Casa della Cultura lo racconta il direttore Ferruccio Capelli.

«A Rossana Rossanda venne dato l’incarico trovare una nuova sede, i finanziamenti e ovviamente delineare un nuovo progetto culturale. Riannodare le fila del modo intellettuale milanese, c’erano le macerie degli scontri ideali degli anni precedenti». Scava tra personale e politico Luciana Castellina, compagna di una vita. Nella prima parte il ricordo dell’identità militante di Rossanda, poi quella umana.

«Questo posto ha segnato il suo modo di essere» dice Castellina. C’è il rapporto con Jean Paul Sartre e Palmiro Togliatti nel racconto di Castellina, un rapporto esclusivo che portò Sartre ad avvicinarsi molto all’Italia e al Partito Comunista Italiano. «Il Pci ha saputo portare avanti un rapporto tra intellettuali e partito, sosteneva Sartre, e questo rapporto lo aveva coltivato Rossana».

SECONDO il filosofo Massimo Cacciari c’è una storia legata a Rossanda che è finita, ma allo stesso tempo ci lascia una domanda etico-politica sul futuro. «In quegli anni la posto in gioco era altissima, ed era come accogliere l’irruzione del nuovo nella storia. Quella storia è finita. Ora è più facile concepire la fine del mondo che la fine del capitalismo, come dice qualcuno». Aggiunge ancora Cacciari, «questo realismo era disprezzato da parte di Rossanda ed è importante collocarsi politicamente ma anche eticamente in questa cosa che dico. Lo guardiamo questo mondo o insistiamo a dire no, questo realismo è orribile?».

Per il filosofo Cacciari Rossanda non sapeva arrendersi a quel realismo e ricordarla ci pone di fronte a una scelta politico etica: dobbiamo noi arrenderci o no? Lea Melandri è stata la persona che ha condiviso con Rossanda un percorso culturale profondo, di amicizia femminile e femminista. «Il nostro prima che un incontro è stato uno scontro» ricorda «un’amicizia nata sulla diversità». Ricorda Melandri: «Ciascuno di noi conserva un aspetto di Rossana Rossanda. Lei era donna femminista e comunista. Il femminismo ha tempi lentissimi, diceva. Rossana ha visto con lucidità la grande rivoluzione del femminismo, lei lo definiva una protesta estrema, diceva che era andato alla radice di ogni forma di dominio, perché entrava nelle acque insondate della persona. Rossana aveva fretta però, e i tempi delle donne erano invece lenti».

C’È SPAZIO anche per una voce più giovane, quella di Irene Zappalà, assessore a Nova Milanese, ha scritto un dottorato di ricerca su vita e opere di Rossana Rossanda. «Ho avuto il piacere di incontrarla a luglio 2015, avevo 24 anni. Proprio la conoscenza di Rossanda mi ha spinto ad allontanarmi dal mondo accademico e avvicinarmi al sindacato e alla politica, sono assessore e milito in un partito politico. Quando l’ho incontrata più che le parole comunismo e rivoluzione le ho sentito pronunciare la parola mare» ricorda Zappalà, che ringrazia Doriana Ricci per aver portato Rossana l’ultima volta al mare. «Era una donna dolcissima».