Una specie di Casa di Carta, spazzata via in un amen dalla saldatura internazionale tra politica, istituzioni del calcio e tifosi. Ieri è stato il giorno della clamorosa retromarcia delle 12 società della Superlega, la nuova via del pallone verso l’oligarchia, annunciata nella notte tra domenica e lunedì. Un comunicato in notturna, poche righe per annunciare che in appena 48 ore è naufragato un progetto, secondo la voce dei diretti interessati, che era in piedi da mesi, tra incontri carbonari, trattative, depistamenti. Per ora, è tutto finito: «La Super League europea è convinta che l’attuale status quo del calcio europeo debba cambiare – si legge nella nota del torneo mai nato – Proponiamo un nuovo progetto europeo perché il sistema esistente non funziona. La nostra proposta mira a consentire allo sport di evolversi generando risorse e stabilità per l’intera piramide del calcio, anche aiutando a superare le difficoltà finanziarie incontrate dall’intera comunità calcistica a causa della pandemia. Fornirebbe anche pagamenti di solidarietà a tutte le parti interessate del calcio. Nonostante l’annunciata uscita dei club inglesi, costretti a prendere tali decisioni a causa delle pressioni esercitate su di loro, siamo convinti che la nostra proposta sia pienamente in linea con le leggi e le normative europee come è stato dimostrato da una decisione del tribunale per proteggere la Super League da azioni di terzi».

PRIMA E DOPO LA NOTA della Superlega, un’escalation di comunicati, passi indietro, partendo dalle sei squadre inglesi, che si sono ritrovate contro l’estabilishment politico, in testa il governo di Boris Johnson che ha minacciato dure sanzioni, l’astio del resto della Premier League e le manifestazioni in piazza dei tifosi del Chelsea, del Liverpool. Primo ad abbandonare la nave, il Manchester City, poi il Chelsea, e a seguire il resto delle squadre di Sua Maestà, mentre sui social network esultavano i calciatori delle squadre e le dirigenze delle società si scusavano in rapida sequenza. Perché il progetto Superlega è stato arrogante, nei tempi, nei modi. Lo si è inteso subito, dalle parole di Andrea Agnelli e Florentino Perez sul ricorso alla ricchezza, garantita da JP Morgan, per sanare l’indebitamento di club che hanno speso senza sosta negli anni, a danno dei campionati nazionali, del calcio più popolare. Un castello però costruito sulla sabbia, incredibilmente senza alcuna forza vincolante tra le parti, nonostante siano stati sottoscritti dei contratti, evidentemente senza penali di uscita. Una gestione quasi macchiettistica, da licenziamento immediato nelle grandi aziende, che coinvolge le principali potenze del calcio europeo.

IL MANIFESTO del fallimento della Superlega si è visto sul volto di Andrea Agnelli nell’intervista alla Reuters in cui ha ammesso l’impossibilità di andare avanti con il progetto dopo averlo esaltato e confermato qualche ora prima su Repubblica. Ma la figuraccia non è solo di Agnelli – a un passo dalla sede della Figc a Roma, un murales dal titolo «Un Golpe Fallito» di una street artist romana, Laika, lo rappresenta mentre buca un pallone -, di Perez o delle proprietà dei club inglesi, che hanno provato a ripulire la loro immagine con pubbliche scuse alla tifoseria, come John Henry, il capo della società che possiede le azioni del Liverpool. La pessima esibizione di se stessi, per esempio, ha toccato il Milan, con i toni trionfalisti dell’amministratore delegato del club, Ivan Gazidis, del giorno prima che si sono tramutati in profonda mestizia nel comunicato di neppure 24 ore con riferimento, si legge nella nota ufficiale, «alla voce e le preoccupazioni dei tifosi in tutto il mondo rispetto al progetto di Super League sono state forti e chiare, e il nostro Club deve rimanere sensibile e attento all’opinione di chi ama questo meraviglioso sport».

MA NON È ANDATA benissimo neppure all’Inter, che con l’accesso al club delle 12 avrebbe risolto in un colpo solo i gravi problemi finanziari del Gruppo Suning, che si è visto impedire dal governo di Pechino ulteriori finanziamenti nel calcio europeo. Il tutto nel silenzio della federcalcio italiana, che magari in questa occasione avrebbe potuto segnalarsi per coraggio, come i colleghi inglesi. Ma ora, pesando anche le parole del presidente dell’Uefa, Ceferin, «sul ritorno all’ovile» delle 12 ribelli e sull’ammirazione verso chi ha «commesso un errore», dopo questa assurda fase, si procederà prima o poi con le trattative. I club vogliono più soldi e autonomia, le istituzioni del calcio, piuttosto avide di potere, dovrebbero aver afferrato il segnale. La soluzione tampone potrebbe essere la Superlega dell’Uefa finanziata dal fondo inglese Centricus. Un montepremi da sette miliardi per risanare i conti delle società.