Il tentato attacco terroristico di lunedì mattina a New York è stato, fortunatamente, solo fonte di un grande spavento, perdurato qualche ora fino a che non è stato chiaro che a operare era stato un personaggio più disturbato che pericoloso.

L’unica vittima è stato l’attentatore stesso, il bengalese 27enne Akayed Ullah, elettricista, residente a Brooklyn. Interrogato da polizia e Fbi, ha fatto dichiarazioni altisonanti, inneggiando all’Isis e sostenendo di aver agito in quanto arrabbiato per le politiche di Israele a Gaza. Dopo essere stato sottoposto a un’operazione al Bellevue Hospital, per le ferite riportate all’addome, Ullah ha detto di aver scelto come luogo del fallito attentato la metropolitana in quanto esasperato dalle pubblicità natalizie.

Secondo la Nbc l’uomo per costruire la bomba avrebbe seguito istruzioni online usando velcro e cerniere per assicurarsi addosso una cintura esplosiva realizzata con fiammiferi, una batteria da nove volt, un cavo ricavato da delle luci di natale e un tubo trovato in uno dei cantieri dove lavorava.

L’assenza di vittime ha lasciato spazio a una serie di analisi riguardo la «nuova normalità», come l’ha definita il sindaco Bill De Blasio a cui ha fatto eco il governatore Andrew Cuomo: «Questa è New York, la nostra realtà, quella con cui dobbiamo fare i conti. Siamo un obiettivo internazionale. Dobbiamo andare avanti tutti insieme».

Nessuna dichiarazione altisonante di vendetta o di esclusione: d’altronde molti poliziotti o agenti dei servizi segreti newyorchesi sono musulmani. Non è andato così con le dichiarazioni arrivate da Washington. Ullah era legalmente negli Usa dal 2011 grazie a un permesso di residenza permanente per ricongiungimento familiare, perché nipote di un cittadino americano.

E questo ha dato modo alla portavoce di Trump, Sarah Sanders, di scagliarsi contro questo tipo di visti, rei di aprire le porte a potenziali terroristi.