«Suggerisco a tutti noi di fare ogni sforzo possibile affinché i temi più spinosi vengano affrontati e risolti in commissione. Abbiamo capito che trattare direttamente in aula i nodi politicamente più delicati produce, fatalmente, disordine politico, confusione tra maggioranza e opposizione e, per di più, nessun risultato nel merito». Così scriveva un mese fa ai suoi senatori il presidente del gruppo Pd Zanda, nell’annunciare i propositi per l’autunno. E proprio Zanda ieri ha chiesto la convocazione della conferenza dei capigruppo – anzi, secondo l’arrabbiatissimo presidente Grasso l’ha convocato direttamente per oggi seguendo l’ordine di palazzo Chigi – per decidere l’immediato passaggio in aula della legge di revisione costituzionale. Renzi ha deciso di andare alla conta sulla riforma: in commissione affari costituzionali non ha la maggioranza, e in teoria non l’avrebbe neanche in aula sul senato non elettivo. In pratica sa di poter contare su un numero sufficiente di senatori forzisti che uscendo dall’aula compenseranno il dissenso di qualche centrista e di quella parte della minoranza Pd che non si dissolverà nel braccio di ferro.
L’annuncio dell’ok Corral è stato preparato da altri due strappi della maggioranza renziana. Al mattino la ministra Boschi ha risposto per l’ennesima volta no alle richieste dei bersaniani e dei cuperliani, svelando il bluff della mano tesa. La minoranza Pd ha allora abbandonato il «tavolino» di partito, ottenendo in un colpo solo tre risultati, tutti negativi. La sinistra dem prima ha legittimato la trattativa a porte chiuse sulla Costituzione, poi si è presa in carico la responsabilità della rottura e infine ha riconosciuto che la legge di revisione costituzionale dovrà essere approvata dal senato entro metà ottobre. Renzi ha colto al volo l’occasione, e ha spiegato quello che era noto da mesi: non si può andare oltre l’avvio del dibattito sulla legge di stabilità (si potrebbe però rinviare la riforma, ma nessuno lo chiede), quindi basta perdere tempo in commissione.

In commissione non si è discusso neanche un emendamento: la montagna delle 510mila proposte di modifica eretta da Calderoli è ancora lì a fornire un’altra giustificazione alle forzature della maggioranza. Il passaggio diretto all’aula (ormai un classico del governo Renzi, vedi Italicum) non comporta grandi conseguenze tecniche (la stessa presidente della prima commissione farà le funzioni di relatrice) ma aumenta il caos visto che è la stessa maggioranza a riconoscere che alcune modifiche devono essere fatte, e soprattutto anticipa la conta decisiva. Nel pomeriggio di ieri è stata Anna Finocchiaro a dare la seconda prova della volontà di non fare prigionieri. La presidente della commissione infatti ha dichiarato non ammissibile la gran parte degli emendamenti – i più pericolosi per il governo – all’articolo 2 del disegno di legge di riforma, quello che riguarda la composizione del futuro senato. Una decisione presa con un richiamo formale al regolamento di palazzo Madama che però tradisce gli avvertimenti dei costituzionalisti ascoltati in commissione, che avevano richiamato lo spirito fino all’ultimo aperto della procedura di revisione costituzionale. Ma quel che conta è che Finocchiaro ha preso la sua decisione senza consultare il presidente Grasso, che ripete da prima dell’estate che l’articolo 2 può essere riaperto. Il tentativo è quello di creare un precedente e mettere in imbarazzo il presidente, ma ormai i rapporti tra Grasso e Renzi sono precipitati. Lontani i tempi del primo passaggio al senato della legge di riforma, quando fu proprio il governo a chiedere e ottenere dal presidente uno strappo al regolamento: l’introduzione di quel «canguro» che servì a vincere l’ostruzionismo. Attivissimo sulla riforma che ha benedetto dal Quirinale, l’ex presidente della Repubblica Napolitano ha voluto firmare la decisione di Finocchiaro: «Al di fuori di questa scelta non vedo possibile un’intesa». Piccolo particolare: nel ’93 da presidente della camera Napolitano fece l’opposto e autorizzò la riapertura di un articolo di legge costituzionale già votato in doppia conforme.
Adesso si va dritti alla prova di forza, che fin qui Renzi ha sempre vinto avendo dalla sua il partito di chi si preoccupa prima di tutto per la durata della legislatura. Stavolta però il margine è davvero stretto, anche se non siamo ancora al passaggio della riforma in cui occorrerà la maggioranza assoluta. Per far quadrare i conti il gruppo Pd deve impegnarsi in ogni genere di manovra, tipo far slittare il voto per l’autorizzazione a procedere nei confronti di due senatori Ncd o promettere nuove modifiche sui diritti civili. Sempre che non si avveri la profezia di Zanda e lo strappo non produca «nessun risultato nel merito».