L’appuntamento era a Milano, piazzale della stazione, alle 15. Tanti gli attivisti che hanno raccolto l’appello lanciato da Melting Pot per costruire una carovana dei diritti capace di puntare dritta alla frontiera svizzera e rivendicare quella libertà di movimento che l’Europa nega, salvo poi lasciare mano libera alle organizzazioni criminali di gestire il traffico di esseri umani.
Perlomeno trecento persone si sono radunate nella città del Duomo, molti provenivano dai centri sociali di Venezia e Padova, o dagli spazi autogestiti dell’Emilia Romagna, del Trentino e del Friuli Venezia Giulia. Molti anche i lombardi. Folta la rappresentanza dei migranti e dei richiedenti asilo, almeno una trentina dei quali provenivano dalla casa dei diritti Don Gallo di Padova. Una palazzina di proprietà di una banca, abbandonata a se stessa dopo che la che la magistratura l’ha sottoposta a sequestro, che i richiedenti asilo hanno occupato e ristrutturato in collaborazione con Razzismo Stop. Un’esperienza di autogestione che sta tracciano la strada ad altre esperienze simili nel Nord est. In particolare dopo che il decreto Lupi ha subordinato la concessione del permesso di soggiorno alla residenza.

«Andiamo alla frontiera svizzera per denunciare l’ipocrisia con la quale l’Europa affronta una problema sociale come quello dei profughi – spiega Nicola Grigion, portavoce di Melting Pot – Ipocrisia che proprio a Milano è sotto gli occhi di tutti. Qui infatti giungono i richiedenti asilo dalla Siria, persone in fuga da una guerra feroce che invece di trovare accoglienza vengono di fatto consegnati ai trafficanti e costrette a pagare dai mille ai duemila euro per attraversare il confine e continuare il viaggio».

A Milano, come conferma una operatrice del Comune, i profughi provenienti da Catania vengono inviati alle strutture di accoglienza «dimenticando» di effettuare la registrazione che pure dovrebbe essere obbligatoria ai termini di legge. In pratica, vengono lasciati in una sorta di limbo e per lo Stato italiano non esistono più. Il che, consente loro di proseguire il viaggio verso il nord Europa, Belgio, Olanda e Svezia soprattutto ma per far questo sono costretti ad affidarsi alla criminalità che organizza il traffico. «Vengono tutte le sere con un pullman davanti al centro dove lavoro – spiega la giovane – Chi gli consegna i soldi viene fatto salire e tutti fanno finta di niente». Una conseguenza degli assurdi accordi di Dublino che obbliga un rifugiato a non spostarsi dal Paese in cui ha chiesto asilo.

Una situazione vergognosa che si sposa con le politiche migratorie di una Europa che sceglie di vivere di “emergenze” anche di fronte ad una guerra che prosegue da anni. «Diritto di asilo europeo», «le vostre frontiere ci uccidono», «per un’Europa senza confini», «non ci serve Mare Nostrum ma canali di ingresso regolari», urlano migranti e attivisti prima di salire sul treno diretto a Chiasso, alla frontiera con la Svizzera. Un confine allo stesso tempo interno ed esterno all’Unione europea.

Gli attivisti hanno un regolare biglietto cumulativo ma un cordone di polizia impedisce loro di salire sul treno. Alla fine si parte con mezz’ora di ritardo: quasi inconcepibile per le proverbiali ferrovie svizzere. Durante il viaggio, i migranti sottoscrivono un documento, più che altro simbolico, con il quale chiedono asilo alle autorità svizzere appellandosi alla convenzione di Ginevra sui diritti dell’uomo, denunciando come in Italia questi vengano violati. All’arrivo a Chiasso, il treno viene circondato da un incredibile cordone di polizia che blocca l’apertura delle porte. Anche i giornalisti elvetici che attendevano la carovana, vengono tenuti fuori dalla stazione. Mezz’ora di trattativa e alla fine la carovana riesce a mettere piede sul suolo svizzero e a stendere gli striscioni. Per qualche ora almeno la frontiera è stata violata.