È terminato ieri con una grande festa il viaggio di tre giorni con cui l’ex presidente Evo Morales ha voluto celebrare alla sua maniera il suo rientro in Bolivia, esattamente dopo un anno di esilio in Messico e in Argentina. L’ultimo atto, organizzato in suo onore dalle Sei federazioni del Trópico de Cochabamba, si è svolto a Chimoré, nel dipartimento di Cochabamba, considerato la sua roccaforte cocalera, dove il capo politico del Mas, di fronte una moltitudine di militanti, ha tra l’altro rivendicato la bontà del suo modello estrattivista – proprio quello al centro delle critiche di una parte delle organizzazioni sociali – difendendo lo sfruttamento sovrano delle risorse naturali e strategiche come una via per recuperare la dignità dei popoli contro l’imperialismo nordamericano.

IL LUNGO VIAGGIO di ritorno era cominciato lunedì, in compagnia del suo fedelissimo ex vicepresidente Álvaro García Linera, con il quale, un anno fa, era fuggito dalla Bolivia. Attraversato il confine dalla città di La Quiaca, dove aveva espresso la sua gratitudine verso il popolo argentino e il suo presidente Alberto Fernández, era giunto nella località boliviana di Villazón, dove era stato accolto da una folla di militanti. Da lì, aveva proseguito per Potosí e Oruro, fermandosi 15 volte, secondo quanto riferito dal sindaco di Uriondo Álvaro Ruiz, per salutare i suoi sostenitori in festa.

A SCORTARLO lungo tutto il percorso, una lunga carovana di veicoli, la «carovana dell’incontro e dell’unità», che ha potuto contare sulla presenza di diversi sindaci e quattro governatori. E che, nelle intenzioni di Ruiz, che ha contribuito a coordinarla, avrebbe dovuto assomigliare niente di meno che al Rally Dakar (la vecchia Parigi-Dakar).

Proprio quel rally che Morales ha voluto far passare in Bolivia per cinque anni consecutivi, dal 2014 al 2018, malgrado le polemiche e le proteste suscitate dal suo carattere intrinsecamente colonialista e dai danni ambientali arrecati all’immenso deserto di sale del Salar de Uyuni, uno dei paesaggi più suggestivi del pianeta.

Concluso ieri il suo tour trionfale, si apre ora per Morales una nuova tappa della sua vita, che lo vedrà per ora occupare la presidenza delle Sei federazioni del Trópico de Cochabamba, in attesa di capire quale sarà il suo ruolo politico e in che misura riuscirà a condizionare il governo di Luis Arce.

Da parte sua, il neopresidente, che ha significativamente disertato l’atto in suo onore, è stato di parola, mantenendo la promessa fatta alle organizzazioni sociali di escludere dalla sua amministrazione il contestatissimo entourage dell’ex presidente. Nel suo governo, infatti, l’unico ministro che può considerarsi vicino a Morales è quello della Difesa Edmundo Novillo, leader storico del Mas.

QUANTO AGLI ALTRI, 13 uomini e solo 3 donne, sono generalmente giovani e con un profilo marcatamente tecnico. Arce ha voluto con sé i suoi più stretti collaboratori al ministero dell’Economia di cui era titolare, posti rispettivamente a capo dei dicasteri della Presidenza (María Nela Prada), della Pianificazione allo Sviluppo (Gabriela Mendoza) e per l’appunto dell’Economia (Marcelo Montenegro).

Quanto alla presenza dei movimenti sociali, sono rappresentate nel governo le confederazioni delle comunità interculturali, di cui fa parte il ministro dello Sviluppo rurale Wilson Cáceres, dei lavoratori contadini, in cui milita il ministro dell’Ambiente e dell’Acqua Juan Santos Cruz, e delle donne contadine e indigene Bartolina Sisa, a cui è previsto che apparterrà la futura ministra della Cultura, che Arce nominerà dopo aver ripristinato il ministero cancellato da Jeanine Áñez. Grande delusione è stata espressa, come era prevedibile, dai settori esclusi, a cominciare da quelli del Mas di El Alto e di Oruro e dalla Federazione dei minatori.

SE L’«EVISMO» è assente dal governo, la sua influenza, si suppone, si farà tuttavia sicuramente sentire. Estremamente indicativa è stata, al riguardo, la riunione sostenuta da Álvaro García Linera, prima del suo rientro in patria, con il ministro degli Esteri argentino Felipe Solá, riguardo in particolare a un progetto congiunto di industrializzazione del litio, l’indispensabile componente delle batterie elettriche su cui il governo Morales aveva fortemente puntato per lo sviluppo del paese.

PROPRIO LA VOLONTÀ di mettere le mani sul prezioso metallo, di cui la Bolivia possiede il più grande giacimento del mondo – esattamente in quell’angolo di paradiso che è il Salar de Uyuni, all’interno del «triangolo del litio» di cui fanno parte anche Argentina e Cile – è stata, come è noto, una delle cause del golpe dello scorso anno. Celebre al riguardo il tweet di Elon Musk, proprietario di Tesla, il quale, interpellato da un utente sul ruolo degli Usa nel golpe proprio in riferimento al litio, scriveva: «Noi colpiremo chiunque vogliamo! Fattene una ragione».

Ed è una questione così rilevante che García Linera ha trattato, fra altri temi, con Felipe Solá, concordando con lui sulla necessità che l’estrazione del metallo da parte delle imprese minerarie venga accompagnata da un processo di industrializzazione locale. Ma se del possibile progetto congiunto tra i due paesi mancano ancora tutti i dettagli, è certo però che i critici del modello estrattivista, preoccupati dell’impatto ambientale su un paesaggio unico come quello del Salar de Uyuni, non potranno dormire sonni tranquilli.