Dopo la giornata inaugurale di ieri, entra oggi nel vivo il festival BergamoScienza, quindicesima edizione di un piccolo miracolo della provincia italiana. A Bergamo, infatti, dal 2003 si mettono in moto tremila volontari ogni anno, portando in città scienziati di livello internazionale, pronti a discutere con il pubblico dei principali problemi che animano la ricerca.

Centocinquantamila presenze nell’ultima edizione confermano il successo della formula che, oltre alle due settimane di ottobre, coinvolge il territorio in una serie di eventi diffusi che durano tutto l’anno. Merito di un’organizzazione attenta, ma anche dell’aiuto di fondazioni private e partner scientifici, che spaziano dalla Confindustria locale al Massachusetts Institute of Technology di Boston.

TRA GLI SCIENZIATI che partecipano all’edizione 2017 c’è Timothy Mousseau, professore di scienze biologiche all’università del South Carolina e autore di quasi trecento pubblicazioni scientifiche. Cinquantanovenne cresciuto (scientificamente) in Canada, Mousseau fino agli anni Novanta si occupava soprattutto di biologia evolutiva. I suoi studi più citati sono tuttora quelli risalenti a oltre vent’anni fa sulle caratteristiche ereditarie nel comportamento degli insetti.

A Bergamo, però, il 14 ottobre parlerà dell’impatto sull’ecosistema di disastri nucleari come quelli di Chernobyl (1986) e Fukushima (2011), tema di cui è oggi uno dei massimi esperti mondiali. La genetica delle mosche e l’inquinamento radioattivo sembrano argomenti lontani tra loro, che farebbero pensare a una carriera divisa in due.

«In realtà – spiega Mousseau – non c’è discontinuità. Genetica ed evoluzione continuano a occupare una buona parte della mia attività. Le catastrofi di Chernobyl e Fukushima permettono di osservare come un intero ecosistema reagisce a una contaminazione radioattiva. Abbiamo la possibilità di studiare l’adattamento di specie naturali e vegetali sottoposte per molte generazioni ad elevati livelli di radioattività. Per chi studia l’evoluzione e la genetica, è un’opportunità preziosa».

Questa la motivazione con cui Mousseau ha dato vita al Chernobyl + Fukushima Research Initiative (Cfri), un progetto di ricerca che, da vent’anni, indaga sul campo lo stato degli ecosistemi investiti dalle radiazioni attraverso i due incidenti più gravi della storia dell’energia nucleare civile. Dell’impatto dei due disastri, oggi, non si parla quasi più. Anzi, molti reportage raccontano come a Chernobyl la natura abbia dato vita a una sorta di paradiso terrestre, dopo l’evacuazione della popolazione umana.

NELLA «ZONA DI ESCLUSIONE» a cavallo tra Ucraina e Bielorussia sarebbero tornate a prosperare specie esotiche come lupi, orsi, linci e addirittura i mitici cavalli di Przewalski, quasi estinti. L’assenza dell’uomo sembra aver compensato gli effetti delle radiazioni. «Non proprio – corregge Mousseau – Il fatto è che l’area interessata a Chernobyl è molto ampia, circa 200 km². La situazione è assai diversificata. Effettivamente, nelle zone più ’pulite’, la fauna è in buone condizioni. Ma laddove si registra l’inquinamento maggiore, gli effetti sulle popolazioni sono gravi. Lì il tasso di mutazioni genetiche è alterato, così come la fertilità delle specie e la loro riproduzione. La capacità di adattarsi a un livello di radiazioni elevato, di cui spesso si parla nei racconti più rassicuranti, è limitata a poche specie».

Mousseau è stato tra i contestatori del rapporto delle Nazioni Unite del 2014 che, secondo alcuni, minimizzava gli effetti negativi delle radiazioni sull’area di Fukushima. Secondo lui, gli esperti Onu avevano deliberatamente ignorato diversi studi effettuati dal Cfri, i quali dimostravano che anche a Fukushima l’ecosistema era stato danneggiato pesantemente. Alcune specie di farfalle, secondo una ricerca pubblicata su Scientific Reports, presentavano mutazioni coerenti con quelle osservate anche a Chernobyl. E pure a Fukushima le popolazioni di uccelli sono diminuite notevolmente (a Chernobyl addirittura sono diminuite di due terzi).

QUANTO SI ASSOMIGLIANO i disastri del 1986 e del 2012? «Come dimostrano i nostri risultati – racconta lo scienziato – anche in Giappone l’ecosistema ha risentito della radioattività. Tuttavia, i livelli di inquinamento provocato nell’ecosistema sono molto diversi. La quantità di sostanze inquinanti liberate a Fukushima è stata dieci volte inferiore a quella di Chernobyl. In Giappone, il principale elemento dannoso disperso nell’ambiente è il cesio. A Chernobyl, invece, si registra un’elevata quantità di stronzio, di plutonio e di un’altra dozzina di radionuclidi. Infine, a Fukushima gran parte dell’inquinamento radioattivo è finito sulla terraferma ma in mare, diluito nell’acqua».

Però secondo i ricercatori della commissione Onu i livelli di radiazioni sono scesi sotto la soglia della pericolosità. «Il fatto è che la maggior parte delle ricerche in questo campo si concentrano soprattutto sugli effetti tossicologici rispetto ai singoli individui osservati in laboratorio. Per quanto ne so, vi sono poche informazioni su quelli di bassi livelli di radiazione, in ambiente naturale e sul lungo periodo. C’è ancora bisogno di ricerche come le nostre. Molti interessi economici ostacolano questo tipo di studi».

Sembra di sentire un militante anti-nucleare, come accusa qualcuno. Mousseau ridacchia. «No, rimango uno scienziato che vuole informare la politica con evidenze scientifiche che aiutino le scelte strategiche. Chi ritiene che l’energia nucleare rappresenti una soluzione sostenibile non ha fatto bene i conti. Un esempio: a pochi chilometri da casa mia, a Jenkinsville nel South Carolina, i lavori di costruzione di due reattori sono stati fermati a metà dell’opera per il fallimento della Westinghouse, l’unica compagnia che costruisce centrali nucleari negli Usa. Erano già stati spesi circa dieci miliardi di dollari. Per finire i lavori ne servirebbero altri venti. Così, gli impianti verranno smantellati. I costi assicurativi sono elevatissimi. E nessuno sa come sistemare le scorie nucleari. Eppure qualcuno ritiene che il nucleare aiuterà a superare la crisi ambientale attuale».

IN EFFETTI, TRUMP pensa che sia il mutamento climatico sia una bufala inventata dai cinesi. Ha anche proposto di tagliare del 17% i finanziamenti alla ricerca di base. Il Congresso ha respinto la proposta in campo sanitario, ma sui gas serra si è allineato. Mousseau è inquieto. «Mi preoccupano i tagli alla ricerca di base – spiega – Nella storia, i periodi di maggiore progresso delle società occidentali sono sempre stati legati all’aumento degli investimenti in ricerca di base. Quando mancano i fondi, diminuisce la disponibilità di ricerche e ricercatori. La mia proposta è molto semplice: investire, investire, investire nella ricerca di base».