Non vogliamo il Paese delle trivelle. E così ieri i delegati di dieci Consigli regionali – Basilicata, come capofila; e poi Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise – hanno depositato in Cassazione sei quesiti referendari contro l’invasione delle piattaforme petrolifere. Con essi si chiede l’abrogazione dell’articolo 38 dello Sblocca Italia e di vari suoi commi e dell’articolo 35 del Decreto sviluppo. «Vogliamo che non ci siano pozzi entro le 12 miglia e che siano ripristinati i poteri delle Regioni e degli enti locali, mettendo inoltre i cittadini al riparo dalla limitazione del loro diritto di proprietà rispetto alle società estrattrici», spiega il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza.

Il referendum, sulla cui ammissibilità dovrà ad anno nuovo pronunciarsi la Corte Costituzionale, porta la firma e l’intuizione del coordinamento nazionale No Triv e di altre 200 associazioni. «Con questa consultazione – afferma Enrico Gagliano, No Triv – si restituisce ai cittadini il diritto di decidere di se stessi e del futuro del proprio territorio. Si tratta di un fatto straordinario ed unico nella storia dell’Italia repubblicana, il cui significato va ben oltre la pur importante dimensione energetica». «Sul piano istituzionale, – aggiunge Enzo Di Salvatore, No Triv – il governo dovrà fare i conti con una mutata realtà e con mutati rapporti di forza nel Paese. Quanto alle scelte energetiche, l’esercizio dell’opzione referendaria consentirà di riaprire una partita che sembrava già persa all’indomani del varo della Strategia Energetica Nazionale: i quesiti sull’articolo 38 rimettono in discussione il sistema di governance che finora ci è stato imposto a suon di leggi e decreti (Sblocca Italia su tutti); quello «secco» sull’articolo 35 punta ad infliggere un duro colpo alle mire delle compagnie petrolifere, a salvaguardare i nostri mari e a prevenire qualsiasi tentativo di ritorno al passato (abolizione del limite delle 12 miglia o sua riduzione a 5) da parte di un governo apertamente schierato sul fronte delle energie fossili».

Un’iniziativa che viene definita «una delle poche note liete in una lunga e triste stagione color nero-petrolio». «E’ la prima volta che dei quesiti referendari sostenuti dai Consigli regionali vengono presentati da dieci Regioni, che rappresentano il doppio del quorum richiesto -, riprende Lacorazza -. In Basilicata, una delle realtà più martoriate, contiamo già la presenza di 70 impianti di trivellazione: non siamo affetti dal ’nimby’, ossia non vogliamo non ’sporcare il nostro giardino’ e spostare il problema in quello degli altri, ma crediamo che la politica energetica dell’Italia debba raccordarsi con l’Unione europea, che non può soltanto occuparsi di moneta e burocrazia». «Dieci Regioni – evidenzia Fabrizia Arduini, referente Energia Wwf Abruzzo – sono un messaggio granitico a Renzi. I quesiti referendari parlano chiaro e una rilevante parte del Paese ha capito che l’Italia non può ripercorrere gli stessi modelli di sviluppo che hanno prodotto una delle peggiori crisi economiche mai vissute. Un modello di sprechi e disuguaglianze, insostenibile per la nostra fragilissima e bella nazione, ma anche per il pianeta intero.

Il costo ambientale di queste attività è davanti gli occhi di tutti: i cambiamenti climatici sono un vero flagello. A Parigi, nella COP21 (Conferenza sul clima) di dicembre, gli Stati dovranno concludere un accordo globale per agire in fretta, in modo efficace ed equo per stoppare le alterazioni climatiche. Che dirà il premier? Che l’Italia punta sulle sue risibili produzioni di idrocarburi sino all’ultima goccia?

Nell’attesa che la Cassazione si pronunci sul referendum, – continua Arduini – continueranno le azioni di mobilitazione per fermare progetti petroliferi off shore recentemente sdoganati, a cominciare da “Ombrina Mare”, la piattaforma con raffineria galleggiante, che dovrebbe sorgere a poche miglia dalla costa della provincia di Chieti e di cui si discuterà il prossimo 14 ottobre al ministero dello Sviluppo economico in una conferenza dei servizi».

«E poi – fa eco Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente – bisogna bloccare “Vega B, piattaforma prevista nel Canale di Sicilia, al largo del litorale ragusano, che da poco ha ricevuto il nulla osta ambientale e su cui pendono già ricorsi al Tar». «Occorre abbandonare il petrolio – afferma Luzio Nelli, Legambiente Abruzzo – e ripartire dalle fonti rinnovabili e sostenibili, garantendo la qualità del territorio e il benessere delle popolazioni, non gli interessi delle multinazionali del greggio».