Il prossimo 11 giugno Taranto, la città dei Due Mari più tristemente ribattezzata negli ultimi anni «città dell’Ilva», sceglierà il suo nuovo sindaco. Che avrà davanti a sé l’arduo compito di amministrare un comune complesso, che ancora oggi sconta i disastri del dissesto 2006 dell’ultima giunta di centrodestra targata Rossana Di Bello (un buco da oltre 900 milioni di euro), e che attende di conoscere il destino della più grande fabbrica siderurgica europea. Il tema forse più caldo di questa lunga campagna elettorale, sul quale però, paradossalmente, il Comune può poco e niente in fatto di decisioni. Una città incompiuta, Taranto: che sogna la svolta grazie a un porto tutto nuovo, alla valorizzazione del suo inestimabile patrimonio culturale di una città un tempo capitale della Magna Grecia e della risorsa mare. Senza contare una filiera agroalimentare da far invidia a tutta Italia.

Eppure Taranto è una città malata. Non solo dal punto di vista ambientale. Quella tarantina è una comunità divisa, lacerata da invidie, gelosie, rancori. Figli di un passato e di un presente nel quale in tanti sono stati colpevolmente silenti o fiancheggiatori di un sistema di cui ora si dicono nemici. Dove anche la cultura ha latitato, con una classe dirigente e intellettuale che ha voltato le spalle a un’intera comunità. Che oggi non sa più a chi credere. Non sa più di chi fidarsi.

Sintesi lampante, i 12 candidati a sindaco, che presto saranno 14. Con un esercito di almeno 1200 candidati a consigliere comunale: il classico tentativo per ottenere più voti possibili per superare lo sbarramento del 3% ed entrare in consiglio comunale.

Nell’area di centrosinistra, dopo una diaspora durata settimane, il Pd ha scelto di candidare Rinaldo Melucci, agente marittimo, senza passare dalle primarie. Cosa che ha comportato l’addio al partito di Piero Bitetti, presidente del consiglio comunale, che correrà da solo con l’appoggio di varie liste. Il sindaco uscente, Ippazio Stefàno, appoggerà con la sua lista civica Massimo Brandimarte, l’ex presidente del tribunale di Sorveglianza, nonostante il Pd abbia sempre fatto parte della sua maggioranza. Sempre nell’area del centrosinistra (dove corrono da soli almeno altri due candidati), ci sarà l’ex procuratore capo della Procura di Taranto, quel Franco Sebastio che ha guidato il pool di pm che ha dato vita al processo Ambiente Svenduto sul presunto disastro ambientale dell’Ilva: avrà l’appoggio di Sinistra Italiana e Prc.

L’area ambientalista sarà rappresentata da Vincenzo Fornaro, l’allevatore che nel 2008 vide il suo gregge finire al macello dopo che le analisi confermarono la presenza nelle carni di diossina, targata Ilva, oltre i limiti di legge. Avrà l’appoggio dei Verdi, di Possibile e del movimento DeMa del sindaco napoletano De Magistris.

Nell’area di centrodestra (dove corrono isolati in almeno altri tre), il candidato principale è l’attuale direttrice del carcere Stefania Baldassarri. Appoggiata da Forza Italia, che però ha scelto di non concedere il simbolo, ma non da tutto il centrodestra: l’ex sindaco sceriffo dei primi anni ’90, Giancarlo Cito, lancerà ancora una volta il figlio Mario, che nel 2012 arrivò al ballottaggio. Dulcis in fundo, il Movimento 5 Stelle, spaccato in tre circoli in guerra da mesi: difficile capire se alla fine ritroveranno l’unità perduta.

Senza contare il pericolo astensionismo: alle comunali del 2012 al primo turno votò il 62%, al ballottaggio appena il 43%. E tutto questo caos certamente non farà bene a Taranto e al suo futuro.