Giuseppe Fioroni è «addolorato» per la scomparsa di Andreotti. E non può essere diversamente. “Peppe”, oggi ex dc di pregio e di potere della ditta Pd, del ’Divo’ è stato forse l’allievo prediletto. Almeno finché la politica non li ha allontanati, a fine anni 90: ammesso che fra ex dc si possa parlare davvero di distanze. «È scomparso un uomo che ha segnato la crescita e lo vita del nostro paese», dice, «lascia un vuoto di capacità, di senso dello Stato e della Costituzione. Non dimenticherò mai le volte in cui convocava noi giovani democristiani, la mattina presto, per spiegarci il senso profondo di un articolo della Carta, che lui aveva contribuito a scrivere. Lezioni indimenticabili. E contemporaneamente non c’era politico che più di lui conoscesse la sua gente, il Lazio palmo per palmo. Da presidente del consiglio o da ministro telefonava e segnalava cos’era successo a una strada, in un comune. Per me, per molti giovani dc dell’epoca, è stato un esempio».

Negli anni 80 Andreotti scelse lei, studente della Cattolica, per una responsabilità importante sui giovani dc. Ma lei a sorpresa rifiutò. Lui come la prese?

Andreotti ci ha abituato ad assumerci fino in fondo la responsabilità delle scelte personali. Gli risposi che volevo fare politica liberamente, e cioè prima avendo un lavoro. Lui capì. Ma naturalmente per fare politica, poi, dovetti ricominciare tutto da capo.

Poi lei divenne il più giovane sindaco d’Italia nella sua città di Viterbo, che era un feudo andreottiano.

Molti anni dopo. E, ripeto, dovetti ricominciare tutto da capo. Ma me lo ritrovai accanto.

All’epoca gli eredi del Pci consideravano l’andreottismo, a Viterbo e ovunque, come una cappa clientelare che impediva lo sviluppo.

Le grandi personalità della storia spesso sono oggetto di un fenomeno particolare: gli si attribuisce, nel male più spesso che nel bene, responsabilità più grandi di quelle che hanno. Per Andreotti è stato così. E mi lasci dire: nel nostro territorio quelli che sono venuti dopo hanno degradato quello che fin lì era stato costruito. Altro che “cappa”: quelli che sono venuti dopo si sono contraddistinti per litigi fra capponi.

Onorevole, questa è una battuta molto andreottiana.

Andreotti ci ha insegnato sempre l’ironia, soprattutto l’autoironia. Non montarsi la testa è un esercizio di vita sempre utile. Soprattutto in politica: aiuta a vivere bene il cambio delle stagioni. Ma chi avrebbe detto di sé, immaginando il suo epitaffio: “Non si ritenne né un nano, né un gigante, lieto di appartenere a una mediocrità aurea”?

L’esecutivo Letta-Alfano in fondo è una declinazione della solidarietà nazionale. C’è dell’andreottismo nel governo nato in questi giorni?

Stimo e conosco bene gli amici che oggi ricoprono gli incarichi di governo. So per certo che nessuno si paragonerebbe con i grandi statisti italiani, De Gasperi, Togliatti. E Andreotti.

De Gasperi e Togliatti non furono processati per rapporti con la mafia. Andreotti invece sì, e a lungo. Finì in parte con un’assoluzione, in parte con una prescrizione per i fatti precedenti al 1980.

Andreotti non si è difeso dal processo, non si è sottratto ai giudici. E ne è uscito a testa alta. Anche in questo è un esempio raro nella politica italiana, sarà bene tenerlo a mente. Quanto a chi vuole fare processi alla storia, la storia si incaricherà di emettere le sue sentenze. Anzi direi che lo ha già fatto. Andreotti ha lasciato scritto di non allestire camera ardente né celebrare funerali di stato. Ogni cittadino avrà modo di farsi un’idea, guardando la realtà che oggi ha di fronte.