Roma a volte improvvisamente profuma. Un profumo intenso e persistente in mezzo alla città intasata di traffico, rifiuti e malaffare. Così ieri al Roma Pride, un fiume immenso, colorato e sudato, di persone ha ballato, manifestato, festeggiato e lottato ancora, celebrando la sua primavera tardiva dei diritti all’amore, alla diversità e alla mescolanza, come una bella capitale europea. «Siamo settecentomila», ha annunciato, esagerando forse di dieci volte, lo speaker sul carro di testa appena il corteo ha svoltato su via Labicana, a pochi passi dal Colosseo, dopo aver percorso via Merulana.

Il Gay Pride romano, che si organizza nella capitale ormai da 22 anni, quest’anno è stato presieduto dalla madrina ufficiale Asia Argento – oscurata però da una Monica Cirinnà radiosa con la fila di quelli che volevano farsi un selfie con lei – e per la prima volta è stato patrocinato da numerose ambasciate estere: britannica, tedesca, canadese, statunitense, australiana.

La parade si è snodata nelle strade e per viali proprio come un serpente che si morde la coda tra piazza della Repubblica e piazza Venezia per tutto il pomeriggio. E a sera si è conclusa con l’evento finale al Gay Village organizzato dalla storica sigla della gay-frendly music-all romana Muccassassina, annunciato da uno dei carri al corteo, quello sormontato dalle labbra da bacio su tendone nero.

Tantissime le bandiere con la scritta «Pace» e le ghirlande di plastica arcobaleno, indossate al collo o a coroncina, e poi drappi rosa con frasi contro l’oscurantismo della curia romana, blu degli animalisti, gialli e neri dell’Unione atei.

E tantissima musica da ballare, sopra e sotto i camion con gli altoparlanti, a inframezzare il lungo comizio in stile radiofonico di Sebastiano Francesco Secci, portavoce – nel vero senso della parola – del Roma Pride. «Chi non si accontenta?», era il refrain posto a domanda ai manifestanti al termine di ogni intervento parlato. «Lotta!», la risposta corale in base allo slogan dell’edizione 2016.

Sì, perché in effetti c’è qualcosa da festeggiare, la sudatissima legge sulle unioni civili, che pure è – ricorda sempre Secci – «insufficiente», «deludente», «espressione di una volontà politica debole nei confronti delle opinioni più retrive e omofobe», e però è pur sempre una conquista. Salutata dunque anche su ironiche note dance di alleluja.

Durante il percorso, alcune scenette degne di un film, come il centurione gay al Colosseo o quando il serpentone ondeggiante e queer si è trovato a sfilare sotto la chiesa del Santissimo Redentore proprio mentre una coppia di sposi – lei in abito bianco col velo – è uscita sulla scalinata. «Salutiamo gli sposi – ha preso la palla al balzo lo speaker – anche se alle coppie omosessuali il matrimonio è ancora preculso, ma noi non ci accontentiamo». «Abbiamo ottenuto la legge sulle unioni civili – riprende – e aspettiamo ancora, nei prossimi mesi i decreti attuativi, ma il matrimonio riservato alle coppie eterosessuali resta un istituto segregante».

Così come «a ribasso» viene giudicato il modo con cui le coppie omosessuali possono adottare i figli o ricorrere a metodi di inseminazione artificiale. «Vogliamo un titolo giuridico pieno, che non sia rimesso alle valutazioni dei singoli tribunali», è la rivendicazione. Per altro finora i giudici si sono dimostrati assai più sensibili nel tutelare i legami di filiazione anche al di là delle rigide codifiche della cosiddetta «famiglia tradizionale». E non solo su questo aspetto, che è quello di tutelare i diritti del bambino e del minore all’interno dei legami veri di accudimento e di vita, piuttosto che riferirsi a paradigmi astratti e pretesi modelli familistici.

Le corti si sono dimostrate più avanti del legislatore e sono intervenute a coprire le lacune delle norme anche sulla procedura per il cambio di sesso: una sentenza della Corte costituzionale del 2015 ha infatti stabilito come l’operazione chirurgica per il cambio di sesso non debba essere considerata un prerequisito indispensabile per ottenere una rettifica di genere all’anagrafe.

Trans e drag-queen come al solito hanno catalizzato l’attenzione dei fotografi, professionisti e dilettanti, ma in effetti il grosso del corteo era costituito da famiglie, di vario ordine e tipo, con bambini al seguito. Tra i carri, oltre ai consueti «orsi» pelosi e in canottiera e alle tenute adamitiche, quest’anno c’era anche un camion dei «genitori contro l’omofobia».

E gli interventi del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, non si sono dimenticati di ricordare, nel chiedere interventi diretti nelle scuole per un’effettiva educazione al rispetto delle differenze legate ai ruoli di genere, oltre al bullismo omofobico, il problema grandissimo del femminicidio. «Una vera educazione alla differenza nelle scuole contribuirà a arginare un arretramento culturale del nostro paese – è stato detto – su tutti percorsi di autodeterminazione». «Non siamo solo per combattere omofobia, lesbofobia, bifobia, transfobia ma siamo anche per la difesa della legge 194 e per la lotta al sessismo linguistico e al patriarcato», ha ricordato Secci, che di mestiere fa l’avvocato.

La mani-festa è andata avanti fino al tardo pomeriggio, tra nuovi successi pop di Taylor Swift e Lady Gaga e canzoni d’antan di Antonella Rettore, Heather Parisi e Madonna, sigle di cartoni animati (Mila e Shiro), canzoni di Laura Pausini e Sabrina Salerno. Con gli idranti dell’Acea che questa volta sono serviti non a respingere ma ristorare sotto il sole giaguaro i manifestanti con spruzzi nebulizzati di acqua. Tra striscioni quasi pre-elettorali con su scritto «Sindaco, sposaci» – forse in memoria delle ultime gesta del dimissionato Ignazio Marino – e circoli di «rugbisti omosessuali», cade nel vuoto l’invito rivolto a Renzi da Fabrizio Marrazzo, del Gay Center, a «celebrare lui le prime nozze gay in Italia». Ma – come tutti gridano- «chi non si accontenta…lotta».