La foto di Gianni Alemanno con il boss della mafia rom Casamonica, ovvero la Nemesi di chi aveva vinto le elezioni promettendo la cancellazione dei campi nomadi, la deportazione degli immigrati irregolari, la cacciata della prostitute dalle strade, l’avvento del regno della legge e dell’ordine ed ora si trova con una città che l’ex capo della Direzione distrettuale antimafia, Giancarlo Capaldo definisce senza mezzi termini «mafiosa». È la fine di una carriera politica edificata sulla paura. Nel 2008 Alemanno cavalcò abilmente l’onda di emozione di una serie di omicidi culminati in quello della signora Reggiani, il 30 ottobre.
Poco importa che i dati non fossero così catastrofici: anzi, nel 2006 una ricerca promossa dall’Unione europea promuoveva la sicurezza a Roma.

Il punto è che la percezione che della sicurezza hanno i cittadini è più importante della realtà ed è influenzata enormemente dalle campagne mediatiche: in quella circostanza il tema dominò l’agenda della campagna elettorale. La destra la sentiva come propria e fornì le sue ricette semplificate e demagogiche, costruendo la retorica del capro espiatorio: gli immigrati, in particolare i rumeni, i rom, l’emarginazione sociale, furono identificati tout court come i responsabili della criminalità e la risposta era una sola: il pugno di ferro fatto di arresti, espulsioni, cancellazione di campi nomadi, addirittura l’abbattimento di un intero quartiere quello di Tor Bella Monaca.

La sinistra, che pure aveva istituito l’assessorato alla sicurezza non aveva «le culture e il sapere per affrontare la percezione dell’insicurezza – osservava Sandro Medici, allora presidente del X municipio nel 2009, a un anno di distanza dalla vittoria di Alemanno – non è minacciata l’incolumità delle persone, ma la loro familiarità con il luogo che abitano… I municipi più popolosi ci hanno voltato le spalle e si sono rivolti a chi ha promesso sgomberi e deportazioni» (da Anna Maria Galantino, La Società della Sicurezza, Franco Angeli) .

Cinque anni dopo, il fallimento di quella politica è certificato dai dati del Viminale, pubblicati di recente da Emiliano Fittipaldi su L’Espresso: «Se nel 2012 il ministero dell’Interno dà una diminuzione dei delitti commessi a Roma dell’11,6% (e non del 14 come dice Alemanno) rispetto al 2007 sono in aumento tutti i reati predatori: i casi di omicidi a scopo di furto o rapina sono quasi raddoppiati, idem le lesioni dolose, in netta crescita anche le percosse, minacce, ingiurie, per non dire delle violenze sessuali sui minori, dei furti e delle rapine nelle case, dello spaccio di droga e via elencando».

La vera novità, però, quella che sta insanguinato la strade di Roma, è la vera e propria aggressione criminale che la città ha subito da parte delle mafie, presenti a Roma in tutte le loro articolazioni, nazionali e internazionali: «Roma è diventata la capitale della criminalità organizzata», ha scritto Giancarlo Capaldo (Roma Mafiosa, Fazi Editore). La sua analisi è grave e allarmante e racconta di una penetrazione delle mafie anche nei settori apparentemente sani. Lo scenario non è più quello degli anni settanta e ottanta, quando la Banda della Magliana, una banda “anarchica”, decise di muovere alla conquista della città criminale («Pijamose Roma») scendendo a patti con i servizi deviati, ma essendone strumento subalterno. Oggi, dice Capaldo, c’è stata una «metamorfosi» della mafia di cui Roma è stata incubatrice: «Le mafie, da momento patologico della società, oggi intendono diventare classe dirigente».

La giunta Alemanno non è stata assolutamente in grado di reagire. Anzi, il groviglio di malaffare, corruzione e clientelismo in cui è sprofondata, ha costituito l’humus perfetto per la penetrazione mafiosa. Le politiche securitarie della destra fatte di tanti annunci repressivi contro i drop-out e zero politiche concrete di costruzione della sicurezza, hanno ancora una volta fallito, ma il centrosinistra farebbe male a replicare i propri errori, sottovalutando la necessità di avere una propria idea e una propria visione delle politiche sulla sicurezza.

L’approccio di Ignazio Marino mi pare consapevole di tale necessità. È pragmatico ma propone una visione alternativa a quella destra. Una visione unitaria: in capo a tutto la lotta alla mafia, all’illegalità, alla corruzione, con l’annuncio della costituzione di una commissione consiliare antimafia che è il primo passo per rompere il muro di indifferenza e di omertà che ha purtroppo accompagnato l’assalto mafioso alla capitale. Ci sono poi misure concrete per aumentare la presenza delle forze dell’ordine della città offrendo alla polizia sedi gratuite in cambio di un aumento dell’organico e delle volanti, e infine la ricostruzione della vivibilità della città e del senso di comunità come principali strumenti per garantire la sicurezza ai cittadini. È in fondo la grande lezione della giunte di sinistra degli anni settanta che combatterono il terrorismo riempiendo, con Petroselli e Nicolini, le strade di gente serena e vitale. Ma di questo parleremo nella prossima puntata.

(1, continua)