Giornata convulsa ieri per il presidente sudafricano Jacob Zuma, incalzato dalle accuse contenute in un rapporto stilato dall’equivalente della nostra Autorità nazionale anti-corruzione. Zuma ha prima chiesto all’Alta corte di impedirne la divulgazione. Ma a sorpresa e senza fornire spiegazioni ieri mattina ha ritirato il ricorso. E poche ore dopo il documento era pubblico.

Nel mirino stavolta ci sono le relazioni tra Zuma e i Gupta, una potente famiglia di imprenditori indiani attiva in diversi settori chiave della seconda economia africana, dall’oro all’energia passando per i media. Talmente vicini alla massima carica dello stato da essere soprannominati «Zuptas».

Il rapporto ruota tra l’altro intorno all’acquisizione pilotata di una miniera da parte della Tegeta, società di cui i Gupta sono comproprietari insieme al figlio del presidente, Duduzane Zuma. Ma l’addebito più grave riguarda la capacità dei Gupta di influenzare Zuma nella scelta di chi mandare a dirigere dicasteri strategici.

Autrice del rapporto è la public protector Thuli Madonsela, ormai ex perché da poco è scaduto il mandato che sette anni fa le era stato assegnato dallo stesso Zuma. Che mai avrebbe immaginato dove sarebbe andate a parare con le sue inchieste la 54enne avvocatessa di Soweto una volta entrata nel ruolo di «organo» indipendente della magistratura, chiamata a indagare su reati eventualmente commessi da apparati governativi e pubblica amministrazione.

La Cantone sudafricana aveva già messo Zuma con le spalle al muro per lo scandalo dei fondi pubblici utilizzati dal presidente nel sontuoso ampliamento della sua residenza privata di Nkandla. E solo la schiacciante maggioranza di cui l’Anc ancora gode in parlamento aveva evitato a Zuma l’onta dell’impeachment, lo scorso aprile.

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Jacob Zuma

 

Ora si ricomincia, anche se il rapporto si limita a raccomandare l’istituzione entro 30 giorni di una commissione d’inchiesta sui fatti contestati. Lo chiede allo stesso Zuma, in quanto presidente legittimamente in carica. E poco intenzionato anche stavolta a farsi da parte, forte di un secondo mandato che scade a metà del 2019. Del resto neanche il peggior risultato elettorale di sempre dell’Anc, che alle ultime amministrative ha perso diverse roccaforti, sembra aver messo in discussione il suo ruolo di capo del partito e dello Stato.

Ieri comunque tutte le forze di opposizione rivendicavano il successo politico innescato dal nuovo rapporto. E tutti sono tornati a chiedere le dimissioni di Zuma. A cominciare da Julius Malema, ex leader radicale dei giovani dell’Anc oggi alla guida dell’Eff (Economic Freedom Fighters), che ha portato in piazza a Tschwane, la ex Pretoria, decine di migliaia di militanti vestiti di rosso. «Constatiamo che la corte ha accertato tutto quello che il nostro partito denunciava in parlamento – ha detto Malema -. Ora Zuma deve dimettersi». Durante il suo comizio ha anche provato a bloccare il lancio di pietre da parte dei manifestanti contro la polizia. La quale a sua volta ha respinto con cannoni ad acqua e proiettili di gomma il tentativo di raggiungere la zona degli Union Buildings, i palazzi del potere.