Due sole cose sono certe: la prima è che comunque vada a finire il 4 dicembre la minoranza Pd non farà a Renzi il favore di alzare i tacchi; la seconda è che, se sconfitto, Renzi non farà alla minoranza il regalo di restare a palazzo Chigi per completare il processo di arrostimento né quello di lasciare invece la segreteria del partito. Al contrario, subito dopo il voto del Senato sulla legge di bilancio, si dimetterà da premier ma si barricherà nella segreteria.

Tutto il resto è invece incerto. In ogni caso subito, dopo il referendum, inizierà una di quelle estenuanti guerre di posizione alle quali il Pds-Ds-Pd ci ha abituato da sempre.

Se il Si vincerà Renzi non metterà alle porte il nemico interno. Se ne sbarazzerebbe più che volentieri. Se se ne andassero da soli brinderebbe. Ma non può essere lui a farsi carico di un’espulsione e di una scissione. Non significa però che tutto resterà uguale. L’intervento di Cuperlo, il solo esponente della minoranza sul quale Renzi aveva lavorato a uomo sino a un attimo prima della Direzione, è eloquente. Impegnandosi a dimettersi da deputato dopo l’eventuale lacerazione, indicava anche al resto della minoranza l’impossibilità di «far finta di niente».
Sarà effettivamente impossibile. Nel palazzo che un tempo era loro i rottamati già devono accontentarsi di qualche sgabuzzino. Se saranno sconfitti perderanno anche quegli esigui spazi e se, nonostante tutto, decideranno di restare in veste di sgraditi ospiti saranno affari loro.
Se vincerà il No, però, tutto sarà molto più complicato. In quel caso dovrà infatti essere la minoranza a dare l’arrembaggio alla segreteria. Renzi, nei giorni scorsi, ha manifestato a volte l’intenzione di lasciare anche quella postazione in caso di batosta. Ma sono umori passeggeri, che si alternano con il proposito opposto: quello di tener duro alla guida del partito in modo da potersi ricandidare alle politiche. Prevarranno gli istinti battaglieri.

Quindi starà alla minoranza muovere, e l’offensiva non sarà una passeggiata. Con le mani libere dagli impegni di governo, Renzi darà il meglio di sé. Si presenterà come l’unico leader di cui il partito dispone in vista di una prova elettorale difficilissima. Determinante, a quel punto, sarà la legge elettorale. Se la riforma verrà affossata, l’Italicum si inabisserà con lei e il modello che lo sostituirà avrà un peso forse decisivo a favore o a sfavore del premier.

Ma per Renzi questa è futurologia. Al momento è il presente a occupare la mente sua e del maghetto della propaganda Jim Messina. Il piano di battaglia è pronto, la strategia fondata sul responso dei sondaggi scomposti. Dicono che il Sud è perso ma che al nord la partita è apertissima. Tutto dipenderà dalla conquista dell’elettorato berlusconiano. Per questo Renzi tuona contro la Ue ogni volta che può e per lo stesso motivo fa gli scongiuri per evitare un’esposizione diretta di Berlusconi, che ancora sposta parecchio. Dicono che nella fascia anagrafica ultrasessantenne il Sì prevale, non così tra gli adulti e tra i giovani. Portare questi ultimi a votare per la riforma è più o meno impossibile, in compenso si può puntare sull’astensione e a questo serve il martellamento sui «dinosauri» che campeggiano nel fronte del No. Ma gli adulti, quelli bisogna portarli a votare Sì. Ecco perché ultimamente Renzi sembra essersi fissato con i bambini: gli adulti sono anche genitori, o lo saranno presto.
Il resto, dalla «scuola per funzionari propagandisti» di Jim Messina all’occupazione a tempo pieno del video, è repertorio.