Tröglitz è una frazione del piccolo comune di Elsteraue. Siamo in un angolo dell’ex Repubblica democratica tedesca, nel sud della Sassonia-Anhalt, un Land in via di spopolamento in cui disoccupazione e povertà sono superiori alla media nazionale. Per gli standard tedeschi è un’area depressa, ma in realtà nei dintorni di Elsteraue esistono attività agricole e un tessuto di piccole e medie imprese chimiche. A Tröglitz vivono 2712 persone, e 40 se ne sarebbero dovute aggiungere a maggio: un gruppo di richiedenti asilo fuggiti da fame e guerre. Non accadrà, almeno nell’immediato: lo stabile che avrebbe dovuto ospitarli è stato incendiato lo scorso 4 aprile. Da chi, non si sa. Ma con ogni probabilità questo episodio è il culmine (finora) di un’escalation di intolleranza che preoccupa l’intera Germania.

In breve: quando a Gennaio si venne a sapere che l’amministrazione locale aveva dato l’ok all’imminente arrivo di rifugiati stranieri, a Tröglitz cominciarono proteste così forti da indurre il sindaco democristiano Markus Nierth, minacciato di morte, alle dimissioni. Dietro le mobilitazioni, il partito neonazista Npd, che in questo comune prende più voti dei socialdemocratici. Una riuscita prova di forza dell’estrema destra, «coronata» con il grave danneggiamento del futuro centro di accoglienza: per ora i mancati ospiti restano ammassati nel vicino borgo di Zeitz, in attesa di essere smistati nei comuni della zona. L’ex sindaco, pastore della locale chiesa protestante, ha rimesso il proprio mandato, ma continua da privato cittadino la sua battaglia antirazzista, lamentando l’indifferenza della maggioranza silenziosa di quella piccola comunità.

Tröglitz, purtroppo, non è un caso isolato. A dimostrarlo è la Fondazione Antonio Amadeu, importante organizzazione della società civile tedesca contro l’estrema destra: nel suo sito si trova un aggiornatissimo e dettagliato elenco di tutti gli episodi di intolleranza – danneggiamenti dei centri di accoglienza, aggressioni, cortei anti-migranti – dall’inizio dell’anno. Al 15 aprile il conto ammontava già a 60 casi. Il maggior numero è nella Germania orientale, ma il neonazismo non conosce confini interni: la più recente manifestazione degli «Hooligans contro i salafiti» (Hogesa nella sigla in tedesco) si è svolta a Dortmund, il più importante centro della Ruhr, un tempo cuore industriale del Paese, ora in permanente «ristrutturazione» con alti indici di disoccupazione. Terreno fertile per questo nuovo brand «anti-islamista» dei neofascisti più violenti, che raggruppa frange estreme degli ultras delle curve e strutture dell’arcipelago nero sul modello della English Defence League: lo scorso ottobre misero a ferro e fuoco Colonia, trovando la polizia impreparata.

La lotta contro la presunta «islamizzazione» della Germania e dell’intero mondo occidentale è il secondo ambito di iniziativa dell’estrema destra tedesca, un nuovo fronte che si aggiunge alla «tradizionale» ostilità contro gli stranieri, in particolare profughi e richiedenti asilo. Il punto in comune è la sindrome da invasione, irresponsabilmente alimentata anche dalla Csu, il partito democristiano bavarese federato con la Cdu di Angela Merkel: l’anno scorso lanciò una minacciosa campagna, dallo slogan «chi imbroglia, se ne vola via», per chiedere l’espulsione degli stranieri comunitari (cioè: dell’Europa dell’est) che avessero fornito false informazioni ai servizi sociali allo scopo di ottenere sussidi. Non se ne fece nulla, ma nei pozzi fu instillata la velenosa idea: «i migranti poveri sono tanti parassiti che vengono qua a mangiarci il “nostro” welfare». Ciò che dice apertamente l’estrema destra.

Oltre agli hooligans, a essersi organizzati «contro l’islamizzazione» sono gruppi di cittadini «più presentabili»: il più noto è quello dei Pegida («Patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente») di Dresda, capace di imponenti mobilitazioni. Ospite di una delle ultime, un paio di settimane fa, l’olandese Geert Wilders, campione europeo dell’islamofobia. Il movimento dei sedicenti Patrioten sta cominciando forse a spegnersi, anche per divergenze interne, ma ciò non significa che non sia destinato a lasciare traccia: a Dresda e non solo è emersa una soggettività politica di destra che non è certo riducibile a branchi di violenti da stadio, ed è più ampia dell’area di simpatizzanti dei neonazi della Npd. L’interlocutore naturale di questo universo è il partito più giovane della scena tedesca, Alternative für Deutschland (Afd), che nei Länder orientali del Paese miete consensi, e che è ormai molto di più della forza mono-tematica anti-euro delle origini: «tutela dell’ordine», limitazione dell’immigrazione, difesa della «famiglia naturale» hanno trovato il loro posto nell’offerta programmatica della Afd.

Estremizzati e conditi da un lessico «identitario» ed etno-nazionalista di derivazione nazista, gli stessi temi sono da sempre agitati dalla Npd, il partito «ufficiale» dell’estrema destra tedesca, che trova ora nella Afd un temibile concorrente: lo si è potuto notare l’anno scorso proprio alle elezioni regionali in Sassonia, il Land di cui Dresda è capitale, che hanno visto la Npd perdere a beneficio della Afd quella manciata di voti che le avrebbe permesso di mantenere rappresentanza nel parlamento locale (si fermò al 4,9%). Attualmente, l’unica regione nel quale i neonazisti sono presenti nell’assemblea legislativa è il Meclemburgo, terra d’origine della cancelliera Merkel. Rispetto al passato, però, possono vantare un eurodeputato, Udo Voigt.

Da due anni è in corso una nuova procedura per la messa al bando del partito, dopo un primo tentativo fallito per decisione della Corte costituzionale nel 2003. A fare da motore della seconda richiesta di rendere illegali le attività della Npd, lo choc dovuto all’emersione della vicenda dei terroristi della Nsu (Nationalsozialisticher Untergrund): organizzazione clandestina neonazista scoperta dalle forze di polizia in circostanze casuali nel 2011, responsabile fra il 2000 e il 2006 di una serie di omicidi ai danni di cittadini stranieri. Sette turchi e un greco, per anni ignorati dagli inquirenti e derubricati dai media, con malcelato razzismo, a vittime di una sorta di «faida fra kebabbari».

Erano stati, invece, gli obiettivi «casuali» di nuovi seguaci di Hitler che, per un decennio, si poterono muovere indisturbati in tutta la Germania compiendo omicidi e rapine, grazie a una rete di complicità di qualche centinaio di persone. Fra le quali, stando alle indagini, numerosi membri del partito legale Npd.