A sei mesi esatti dal giorno in cui presentò la prima versione della sua riforma del bicameralismo – allora prevedeva 150 senatori, quasi tutti sindaci – Matteo Renzi porta a casa il primo passaggio parlamentare della nuova Costituzione, scritta e imposta dal governo con tanto di minaccia di elezioni anticipate. Sei mesi fa il segretario del Pd non era ancora a palazzo Chigi, ma da subito il sottotesto della sua riforma è stata la garanzia sulla durata della legislatura. I senatori lo hanno seguito lungo la via del suicidio – almeno in questo primo passaggio – convinti di poter prolungare l’agonia fino al 2018. Ieri questo sottotesto è venuto alla luce, tra le urla e i colpi bassi dell’ultima maratona di votazioni tutte uguali. Il relatore Calderoli ha proposto di scrivere nelle disposizioni transitorie che il nuovo senato non elettivo sarebbe scattato solo al termine naturale della legislatura: il 2018 oppure mai nel caso di una serie di scioglimenti anticipati. Poi ha ripiegato sull’indicazione di una data (il novembre 2016) tale per cui se Renzi volesse andare ad elezioni anticipate dovrebbe mettere in conto di tenersi il senato attuale. Infine, convinto a trasformare i suoi emendamenti in un ordine del giorno, ha prodotto un pezzo di teatro dell’assurdo. Ha scritto testualmente che il senato impegna il governo a non interrompere la legislatura prima di concludere l’insieme dell’opera di riforma. Neanche solo la riforma costituzionale. Il governo sì è graziosamente impegnato a durare, Grasso ha ammesso il documento dimenticando che non tocca al governo ma al Quirinale decidere lo scioglimento delle camere e, gran finale, anche Forza Italia – teorica opposizione – ha ingoiato il boccone di Calderoli prendendolo per elisir di lunga vita. E ha votato a favore della durata dell’esecutivo.

Un ordine del giorno non si nega a nessuno, ma questo di Calderoli è assai rivelatore. E certo non più presentabile di quello immediatamente dopo proposto dall’ex ministro delle riforme Quagliariello, che voleva dal governo la garanzia che nelle votazioni finali non saranno raggiunti i due terzi di favorevoli, così da consentire il referendum confermativo. La ministra Boschi, che almeno negli atti formali dovrebbe rispettare l’autonomia dei parlamentari, quella garanzia gliela aveva anche prontamente data, prima che l’ordine del giorno finisse ritirato per manifesta idiozia.

Sono due episodi minori della lunga giornata parlamentare, rivelatori però di quante regole siano state stravolte per costringere il senato a rispettare l’ultimatum (il terzo) fissato da Renzi per l’approvazione in prima lettura della riforma: oggi. Con la maggioranza libera strafare, Grasso e i suoi vice si sono concentrati sulle opposizioni, togliendo la parola a tutti e assegnando tempi ridicoli per sub-emendare le continue invenzioni di Calderoli. Fino a che i grillini sono saltati sui banchi, replicando il copione delle proteste urlate e occupando durante una pausa i posti del governo. Alla fine, nessun provvedimento per il forzista sorpreso a votare col trucco, ma espulsione per il 5 stelle col bavaglio, che Grasso non ha riammesso perché «non si è scusato». Così il senato della Repubblica ha riscritto un terzo della Costituzione.

E non si è fatto mancare un paio di novità dell’ultimo momento. Una sui senatori a vita: quelli in carica (adesso sei) conserveranno l’indennità (solo loro), mentre quelli di diritto (gli ex presidenti) manterranno il posto aggiungendosi ai cinque di nomina quirinalizia, anche oltre il tetto di senatori previsto. Del resto i cento posti per il nuovo senato sono già ballerini, anche se il governo lo nasconde, in ragione dei mutamenti nella popolazione residente nelle regioni. Un’altra novità l’ha pretesa Forza Italia: ogni gruppo regionale potrà costituire una sola lista per eleggere consiglieri e sindaci al ruolo di senatori. È un modo, tutt’altro che certo, per provare a conquistare un posto anche in quelle regioni dove il Pd la fa da padrone. Comunque il meccanismo di selezione dei nuovi senatori è rimandato a una futura legge bicamerale: il primo senato sarà in ogni caso una sorpresa. Soprattutto per gli elettori che, senza saperlo, già nel prossimo autunno, cominceranno a schiudere la carriera di futuri legislatori, votando alle regionali in Emilia e Calabria.