La California si conferma ancora una volta all’avanguardia del dibattito sull’identità sessuale e di genere. Il governatore democratico Jerry Brown ha firmato lunedì la legge approvata il mese scorso dalle camere dello Stato che prevede la possibilità per gli studenti transessuali delle scuole pubbliche di poter scegliere se usare i bagni maschili o femminili a seconda dell’identità percepita e non quella indicata dal sesso anagrafico. Inoltre la legge, detta Assembly Bill 1266, prevede che gli studenti possano optare per giocare nella squadra sportiva del sesso percepito e non del sesso indicato sui loro documenti. Il provvedimento entrerà in vigore il primo gennaio 2014.
Anche se altri 14 Stati hanno varato leggi specifiche a tutela della popolazione transgender, la California è il primo stato degli Usa a varare una legge specifica per proteggere il diritto all’identità di genere.
«In California la vera frontiera per l’inclusione sociale è quella delle persone transessuali», spiega Don Gibbons, attivista gay e responsabile della comunicazione del California Institute for Regenerative Medicine di San Francisco. «Al contrario che in altri paesi – penso alla Russia, ma non solo – qui da noi la questione del coming out a scuola non si pone neppure. Ma per molti giovani transessuali c’è ancora uno stigma fortissimo. E questa legge, fortemente voluta dal democratico gay Tom Ammiano, è un passo avanti importantissimo per questi ragazzi e queste ragazze per non sentirsi discriminati a scuola».
La questione del diritto all’istruzione è molto sentita dalla comunità Lgbt. «Sono contentissima che la California stia assicurandosi che gli studenti transgender abbiano la possibilità di diplomarsi e avere successo nella vita», ha dichiarato all’Huffington Post Calen Valencia, 18 anni. «Ora qualsiasi studente transgender in California potrà svegliarsi la mattina sapendo che potrà andare a scuola con la sua vera identità», ha invece dichiarato Masen Davis, direttore esecutivo del Transgender Law Center allo stesso giornale.
«Io ho lavorato per alcuni anni come volontario dando lezioni di matematica a un gruppo di 10-12 studenti che avevano abbandonato la scuola. Ogni anno la metà di loro erano sempre studenti transessuali», racconta al manifesto Gibbons. «Avevano abbandonato la scuola per lo stigma, per il bullismo o magari perché i loro stessi genitori li avevano sbattuti fuori di casa. Arrivati a San Francisco, trovavano una comunità accogliente e avevano finalmente l’opportunità di studiare e di prendere il diploma, un fattore chiave per trovare un posto di lavoro decente».
La discussione sulla legge è stata molto vivace. I principali detrattori militavano fra le file repubblicane. «Sarà una perfetta scusa per entrare nei bagni per le femmine», diceva qualcuno. «Gli atleti mediocri cercheranno di entrare nelle squadre femminili», dicevano altri. «Sono ipotesi ridicole», dice Gibbons. «Nessuno che non viva davvero questo disagio di genere si sognerebbe di spacciarsi per transgender».
«Questi provvedimenti distruggono alla base le concezioni di omofobia, esclusione e separazione», ha dichiarato Massimo Di Giannantonio, docente di psichiatria all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti, appoggiando la misura. «La scienza moderna si orienta sulla possibilità per gli esseri umani di essere il più vicino possibile all’identità profonda che loro sentono di avere. Il problema è riconducibile all’identità percepita e non all’identità attribuita. Se tu sei maschio o femmina, l’importante è che tu lo senta dentro di te. E quindi, in quest’ottica, hai anche la libertà di scegliere in che bagno entri e che classe di ginnastica frequenti». Secondo lo psichiatra, queste sono misure da «importare» perché sarebbero un’arma efficace contro pregiudizi e omofobia. Ricordando il dramma del quattordicenne suicida a Roma, Di Giannantonio parla di «ragazzi che sentono di non avere né un’identità accettata, né un luogo dove farla accettare».
Non la pensano così i sindacati della scuola. A dimostrazione della distanza esistente tra il dibattito statunitense e quello italiano, il segretario generale della Cisl Scuola Francesco Scrima è convinto che noi «abbiamo problemi diversi rispetto agli Usa» e che «non è con l’uso comune delle toilette che si educa al rispetto del genere». Mentre Massimo Di Menna, segretario generale della Uil Scuola aggiunge che «sono questioni che non si risolvono con un intervento legislativo. È un aspetto che può rientrare in un più ampio progetto educativo culturale dei giovani». Rino Di Meglio, della Gilda afferma invece che «basterebbe togliere le targhette dai bagni e ognuno va nella prima porta libera».